Un improbabile colloquio di lavoro

Da Martatraverso
Eva non è mai stata così serena. Andare a un appuntamento tronfia del pensiero che per una volta a dire No, grazie sarà lei. Anche se magari un giorno se ne pentirà.
Giunge al luogo prestabilito con cinque minuti di anticipo. Ci passa davanti ogni giorno, ma non è mai entrata. Le basta un istante per guardarsi intorno e stabilire che - sì, decisamente - sarà la prima e l'ultima volta. Quelle vestite come lei non le assumono neanche per lavare le scale.
Attende il suo turno su una sedia in pelle porpora, i sandali poggiano su una tappezzeria color marrone triste, inganna l'attesa sfogliando un quotidiano che era appeso al muro come un abito di lusso (Secolo XIX, Corriere della Sera, Sole 24 Ore e Herald Tribune, perché la nostra clientela è tres chic). Al suo fianco uno scrittoio marrone con decorazioni laccate in oro, modello Millesettecento (ma perché nei posti di lusso c'è tutto questo marrone?). Appesi ai muri, enormi vedute di paesaggi in cui sta per mettersi a piovere. Il bar non si chiama bar, si chiama Bistrot. E le sale hanno nomi di compositori del passato. Unico dubbio: come mai la sala giochi è stata ribattezzata Sala Verdi?
Ps. l'immagine scelta è puramente casuale

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