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Un incomprensibile grumo gassoso

Creato il 06 marzo 2014 da Media Inaf

eso1408aUn grumo gassoso di monossido di carbonio nel disco di polvere che circonda la stella Beta Pictoris. E’ la scoperta fatta da un team di astronomi grazie ad ALMA, l’Acatama Large Millimeter Array dell’ESO.

La sorpresa deriva dal fatto che ci si aspetta che questo gas venga rapidamente distrutto dalla radiazione stellare. Qualcosa – probabilmente le frequenti collisioni tra piccoli oggetti ghiacciati, come le comete – deve continuamente rifornire questa riserva di gas. I nuovi risultati sono pubblicati sulla rivista Science.

Beta Pictoris, una stella vicina a noi, facilmente visibile a occhio nudo nel cielo australe, viene considerata l’archetipo dei giovani sistemi planetari. Si sa che ospita un pianeta in orbita a circa 1,2 miliardi di chilometri dalla stella ed è stata una delle prime stelle intorno a cui sia stato trovato un vasto disco di detriti polverosi.

Nuove osservazioni con ALMA mostrano che il disco è permeato da monossido di carbonio gassoso. Paradossalmente, la presenza di monossido di carbonio, che è così dannoso per gli esseri umani sulla Terra, potrebbe indicare che il sistema planetario di Beta Pictoris potrebbe a un certo punto diventare un buon habitat per la vita. Il bombardamento cometario che i suoi pianeti ricevono ora potrebbe fornire loro l’acqua necessaria a sostenere la vita.

Ma il monossido di carbonio viene facilmente e rapidamente distrutto dalla radiazione stellare – potrebbe durare solo un centinaio d’anni nel punto in cui viene osservato nel disco di Beta Pictoris. Osservarlo perciò in quel disco vecchio di 12 milioni di anni è una vera sorpresa. Da dove viene? E perché è ancora lì?

“A meno che stiamo osservando Beta Pictoris in un momento molto particolare, ciò significa che il monossido di carbonio viene continuamente reintegrato”, commenta William R. F. Dent, un astronomo dell’ESO in forza al JAO (Joint ALMA Office) a Santiago in Cile, e primo autore dell’articolo pubblicato dalla rivista Science. “La fonte più abbondante di monossido di carbonio in un sistema planetario giovane è la collisione tra corpi ghiacciati, dalle comete agli oggetti più grandi, della dimensione dei pianeti”.

Ma il tasso di distruzione dev’essere molto alto: “Per ottenere la quantità di monossido di carbonio che osserviamo, il tasso di collisione dovrebbe essere veramente impressionante – un grande scontro tra comete ogni cinque minuti” osserva Aki Roberge, astronomo al Goddard Research Center della NASA a Greenbelt, USA, e coautore dell’articolo. “Per ottenere questo numero di collisioni serve uno sciame di comete massiccio e compatto”.

Un’altra sorpresa delle osservazioni di ALMA, che non solo hanno scoperto il monossido di carbonio, ma ne hanno anche identificato la posizione nel disco, grazie alla capacità unica di ALMA di misurare simultaneamente sia la posizione che la velocità, è che il gas è concentrato in un unico grumo compatto. Questa concentrazione si trova a circa 13 miliardi di chilometri dalla stella, cioè circa tre volte la distanza di Nettuno dal Sole. Perchè il gas si trovi in questo piccolo grumo così lontano dalla stella è ancora ignoto.

“Questo grumo è un indizio importante su cosa stia succedendo nelle zone esterne di questo giovane sistema planetario”, suggerisce Mark Wyatt, astronomo all’University of Cambridge e coautore dell’articolo, che continua spiegando che ci sono due modi per formare un tale grumo: “O l’attrazione gravitazionale di un pianeta ancora non identificato, di massa simile a quella di Saturno, sta attirando le comete in una piccola zona in cui avvengono le collisioni, oppure stiamo osservando il risultato di una singola catastrofica collisione tra due pianeti ghiacciati della dimensione di Marte”.

Entrambe queste possibilità inducono gli astronomi a essere ottimisti sul fatto che ci siano molti pianeti che ancora devono essere scoperti intorno a Beta Pictoris. “Il monossido di carbonio è solo l’inizio – ci possono essere altre molecole pre-organiche complesse rilasciate da questi corpi ghiacciati”, aggiunge Roberge.

Fonte ESO

Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf


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