Il contesto calabrese e reggino contemporaneo, si è accostato con difficoltà e circospezione alle problematiche artistiche, che dal 1950 in poi erano fervidamente vivaci su tutto il territorio nazionale. Un ambiente ostile e lontano dalle attenzioni della critica nazionale, accolse gli esuli D’Ambrosi, Malice, Monaco, da Napoli sbarcati a Reggio Calabria patria del figurativo con radici ben salde nell’800 di Benassai, Salazar, Lavagna – Fieschi e in quella ricerca figurativa di chiara marca impressionista o di profondo intimismo, o di estrazione cubista, che poi attraversò la prima metà del ‘900. Un’analisi di natura classica a Reggio, continuava da sempre ad agganciarsi alla tradizione. Probabilmente per diverse cause legate ai fondamenti religiosi della società calabrese; alla mancanza di “scuole” o “maestri”, perdendo l’occasione di un’apertura linguistica; ma soprattutto, per non aver vissuto in prima persona le vicende della storia artistica contemporanea né subito la trasformazione industriale, persistendo un sistema contadino e post feudale. La stessa istruzione artistica non era presente a Reggio Calabria. Almeno fino al 1929, anno in cui Alfonso Frangipane, creò la prima scuola d’arte della città dello Stretto.
Poche sono le espressioni d’ispirazione avanguardistica, che si affiancarono all’attività di D’Ambrosi, Malice, Monaco. Uno su tutti, Leo Pellicanò, con posizioni vicine al post cubismo; Carlo Filosa e Italo D’Auria, che poi lasceranno la città proprio per la sua secolare chiusura verso il nuovo. Ma proprio le frizioni provocate da una formulazione artistica “altra”, diede lo stimolo ai tre napoletani di confrontarsi, sensibilizzando l’ambito culturale cittadino. Nasce il gruppo Incontro Sud. Facendo perno su una Galleria d’arte gestita dagli stessi fondatori, Incontro Sud ebbe come obiettivo gli scambi culturali con gli esponenti nazionali.
L’attività espositiva del gruppo, avrebbe avuto come sostenitori lo stesso Barisani, e altri esponenti dell’ambiente napoletano. Incontro Sud purtroppo, vivrà una breve stagione, chiusasi nel 1971. Era una fase controversa; Reggio Calabria ancora pagava per la sua rivolta spontanea, e le barricate sulle strade non erano certo il miglior luogo per un’arte raffinata e sensibile come l’Informale. Si apriva un’epopea buia, di grandi lacune, durante la quale Reggio continuò ad annaspare alla ricerca della sua identità politica, sociale, esistenziale e culturale.