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Un indovino mi disse

Da Enricobo2

Un indovino mi disse.
Sulla credulità popolare sono stati versati inutilmente fiumi di inchiostro. La gente, anche la più razionalista, ha bisogno di tanto in tanto di attaccarsi all'ignoto, al metapsichico. Questi bisogni apparentemente bizzarri aumentano enormemente nei momenti di difficoltà e di crisi, mentre altre volte sono soltanto una espressione di divertimento. In ogni caso, per me, è sempre motivo di meraviglia l'arguzia psicologica di chi campa su queste debolezze umane, dimostrando spesso capacità introspettive degne di miglior causa, ma sempre efficacissime. Altre volte invece, ci si trova di fronte ad ingenuità disarmenti, eppure evidentemente sufficienti a sbarcare il lunario. Quel giorno eravamo ancora pieni della bellezza del santuario buddhista di Polonnaruwa, in una Ceylon dove appena si avvertivano gli scricchiolii dell'intolleranza etnica.
Il caldo umido ci costringeva a movimenti lenti e faticosi, ma la distesa di frangipane fioriti che circondavano il sito, ammorbidivano il disagio con la loro bellezza ed i loro colori forti. Che pace starsene seduti tra gli alberi ad assimilare le sensazioni del luogo. Coltellino svizzero alla mano sbucciavamo i rambutan prendendoli da un sacchetto opportunamente rifornito in un mercato mattutino ed il sapore dolce della polpa bianca e gelatinosa ti riempiva la bocca leggermente allappata, mentre le scimmie rovistavano inutilmente tra le buccie pelose ed i noccioli lucidi cercando di ricavarne qualche frammento utile. Un vecchio un po' curvo si avvicinò con studiata lentezza. Vedeva pennelli e colori. Dopo aver magnificato per un po' la qualità della merce, per arricchire la proposta offrì anche il suo servizio accessorio più valido, la lettura della mano. Parlava un inglese stentato ma comprensibile ed io, più per sfinimento che per convinzione, gli porsi la sinistra che lui subito afferrò con degnazione e con professionalità, dopo aver inforcato un paio di occhiali rotondi e spessissimi che mi ricordavano il vecchio Gandhi. Piegò il capo più volte qua e là, muovendo ritmicamente il mento come fanno gli indiani per approvare, poi parve aguzzare gli occhi mentre le rughe delle fronte si facevano più approfondite. Sembrò biascicare un mantra beneaugurale o forse era soltanto il residuo della masticazione di un bolo di pan, come si poteva intuire dal colore rosso violaceo delle labbra, fatto sta che il nostro indovino si sforzava di intuire dalle incavature della mia mano resa gonfia e sudaticcia dal calore meridiano, il segreto della mia vita e forse quell'imponderabile incognita che, se rivelata, avrebbe potuto cambiare il corso dei miei giorni futuri.
Con l'indice della mano destra seguì le linee del mio palmo ad una ad una come un cieco percorre la pagina di un lettura in Braille. Controllò anche le dita e la profondità delle lunette delle unghie, da sempre indicatrici dello stato psicofisico e della vitalità dei chakhra, infine alzò il capo e mi fissò negli occhi. "La tua mano è un libro per me, si lasciò andare a bassa voce, quasi per non spargere il segreto ai quattro venti, dopo avermi ben sfiorato la fede che portavo all'anulare, e vedo chiaramente che questa è tua moglie e che venite da molto lontano". La rivelazione mi colse impreparato, ma seppe comunque risvegliarmi dal torpore con cui il calore umido del tropico ottundeva la mia mente. In un attimo di consapevolezza ci alzammo per tornare alla macchina che ci attendeva poco lontano. Lui prese con due mani le dieci rupie pattuite e se le portò alla fronte in segno di saluto. Il grande Buddha sdraiato rimase immobile mentre il suo sorriso di pietra grigia sembrava ancora più enigmatico. Dal cielo, gonfie nuvole nere stavano per scaricare la dose giornaliera di monsone estivo.
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