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Un indovino (ubriaco) mi disse

Creato il 24 novembre 2015 da Ilnazionale @ilNazionale
foto24 NOVEMBRE – L’indovino cinese sta scribacchiando cose in cinese su un foglio. Ha lo sguardo un po’ vitreo, i capelli tinti di nero bluastro e una lattina di birra cinese sul tavolo. Lo guardo e penso: è pieno come una zampogna. Ho affidato la divinazione del mio futuro a un ubriacone cinese. Che bella cosa.
Ho dovuto scrivergli la mia data di nascita perchè non capisce niente nè di inglese nè di nessun’altra lingua che non sia il cinese. Quindi funziona così: l’indovino parla in cinese; il suo dirimpettaio di bancarella (un altro cinese che assomiglia a un avvoltoio, con i denti neri e fracassati, la sigaretta in una mano e una lattina di birra nell’altra mano, ubriaco perso) mi traduce la profezia in una lingua che rassomiglia solo vagamente all’inglese; io e la persona che è con me facciamo un trust di cervelli per individuare un senso nel delirio alcolico dei due cialtroni. Per ammorbidire il mio sguardo scettico, l’interprete sbronzo mi mostra un poster del Maestro (così lo chiama) insieme a un tizio obeso con i capelli tagliati alla Umberto Smaila. “Qui il Maestro è con grande star di kung fu” mi dice con tono solenne. Ma kung fu de che?? Ma se pesa duecento chili! Secondo me è suo cugino della rosticceria all’angolo. Tanto, che ne sappiamo noi forestieri delle star di kung fu?? Uomo di Hong Kong, tu parlare con lingua biforcuta! Io non mi fido di te. Anche perchè ti sei trincato almeno otto birre. Intorno a noi, le strade di Hong Kong pullulano di cinesi trafelati, che camminano a passo svelto urtandosi senza chiedere scusa al passante che hanno quasi travolto; rumore di traffico, clacson, l’aria satura di umidità e di smog, insegne luminose e odori trucidi e untuosi che grondano fuori dalle cucine dei mille ristorantini che si affacciano sui vicoli.
Hong Kong non mi piace, la trovo stancante, aliena, ostile. Non riesco ad entrare in empatia con i suoi abitanti, che non rispondono al mio sorriso e mi rivolgono sguardi inespressivi. Non la definirei una brutta città, ma è una città che mi fa sentire piccola, anonima e insignificante. Un numero, insomma. E non conosco sensazione più sgradevole di questa.
In questo momento mi trovo nel comodo letto di un bellissimo hotel di Kowloon, al ventunesimo piano. Il brusio del traffico si sente appena. Sono rientrata da Macao in tarda mattinata e ho fatto un giro nei quartieri vicino all’hotel. Ho cenato (ottimamente, a parte il fastidio dell’aria condizionata tipo bufera antartica) in un bel ristorante qui vicino, noodles e granchio. Tutto bene, eppure questa città sembra voler mantenere le distanze da me.
Macao, invece. Ah, Macao! Che bella sorpresa! Quando sono sbarcata dal traghetto, sotto un cielo grigio plumbeo, ho guardato la schiera di palazzoni scrostati e fatiscenti e mi sono detta: oddio, e io dovrei passare due giorni in questo posto orrendo?? Io mi ammazzo! E invece mi sbagliavo di grosso. Macao non è bella, ma diciamo che, come certe persone, è “un tipo”: bruttina ma simpatica. Colonia portoghese dal 1557, dal 1999 è una regione amministrativa speciale della Cina. Batte moneta propria (la pataka) e conserva un cuore lusitano che si manifesta attraverso le architetture coloniali, le insegne in lingua portoghese, i negozi che vendono il baccalà; ma gli abitanti sono cinesi. E accanto ai palazzoni brutti e scrostati svettano i giganteschi casinó dalle luci sfavillanti, dove la mafia cinese ricicla grandi quantità di soldi sporchi provenienti da loschi traffici. Decadente e scalcinata, e talvolta anche un po’ pacchiana, Macao ha tuttavia una personalità così unica e bizzarra che non puoi fare a meno di affezionarti un po’ a lei. Potete passare una giornata culturale fra la casa del mandarino, il tempio buddista profumato d’incenso e la facciata della chiesa di Sao Paulo, patrimonio dell’Unesco; per abbassare i livelli di cotanta erudizione, non potete perdervi una visita a Taipa all’impressionante casinó The Venetian, il più grande del mondo. Immenso e sfacciatamente kitsch, ospita anche un hotel da 3000 stanze distribuite su 39 piani, negozi con tutti i maggiori marchi del lusso, da Armani a Tiffany, da Rolex a Gucci. All’interno dei suoi saloni, una riproduzione in scala quasi naturale di scorci di Venezia (inclusi i canali con l’acqua e gondolieri cinesi che portano in giro i turisti; niente piccioni, peró). Sono stata così ammaliata dall’atmosfera tamarro-mafiosa del Venetian che mi sono perfino comprata dei sigari Cohiba costosissimi. E io non fumo. Stamattina ho preso il traghetto e sono tornata a Hong Kong, o meglio a Kowloon, che si trova sulla terraferma. Sono uscita a fare due passi e mi sono infine ritrovata sullo sgabello di fronte all’indovino scalcinato che abbiamo conosciuto all’inizio della nostra storia. Non che io creda nell’arte divinatoria, intendiamoci. Peró avendo letto Un Indovino Mi Disse, di Tiziano Terzani, non potevo resistere all’idea di omaggiare la sua memoria facendo la stessa cosa che fece lui in questa stessa città.
E quindi…
“17 novembre 1975″ scrivo su un foglio sotto il naso dell’indovino. Lui consulta una tabellina logora piena di numeri e ideogrammi e proclama: “OOOOHH! WANTON SAKATÀN WAN CHOO RANGON AHAHAHAHAH!!! (Grassa risata rovesciando la testa all’indietro come Raffaella Carrà o i cattivi dei film di James Bond). L’interprete beve un sorso di birra, fa un tiro di sigaretta, si sistema i capelli spennacchiati e traduce in simil-inglese: “Tu hai avuto molti amanti. Molti, troppi amanti. Tanti, tantissimi amanti. [EHI!! MI STAI DANDO DELLA ZOCCOLA??] 1975 anno molto negativo per calendario cinese. Molto brutto. Molto molto brutto. [SÌ HO CAPITO, VOGLIAMO ANDARE AVANTI??]. 17 novembre data molto sfortunata per calendario cinese. Molto brutta”. [E ALLORA COS’HAI DA RIDERE, MENAGRAMO D’UN INDOVINO??]. Nel bel mezzo della profezia, l’interprete annuncia: “Fermi tutti! Devo fare una cosa, torno subito”. Attraversa la strada con passo malfermo, va alla bancarella di fronte e si apre un’altra lattina di birra. Beve un lungo sorso. Torna con passo malfermo e la lattina in mano. “Possiamo continuare” dice con tono solenne.
L’indovino cinese prosegue: “OOOOHH! SAKATÓN GENGISKHAN KRODÌN. AHAHAHAH!! (Altra risata stile Raffaella Carrà). L’interprete annuisce tutto compunto, poi sembra irritato e per un po’ discutono animatamente. Sospetto che la loro conversazione sia andata così:
Indovino: “Ah senti, è ancora in vendita il tuo motorino? Perchè forse c’è un mio amico che sarebbe interessato. Il mio amico è interessato anche a tua sorella. È in vendita anche lei? AHAHAHAH!”
Interprete: “Ma come ti permetti? Non parlare così di mia sorella o te ne faccio pentire!”
Indovino: “Eh, che permaloso! Vabbè ne parliamo dopo. Inventati qualcosa da dire alla tipa qua, che sta aspettando la magica profezia”
Interprete (rivolto a me): “Le tue linee della vita rivelano che vivrai a lungo, ma la tua esistenza sarà piatta e afflitta dalla povertà fino ai 60 anni. Dopodichè diventerà una bella vita”.
Ricapitolando: secondo l’indovino sono stata una donna di facili costumi fino ai 40 anni; dai 40 ai 60 saró povera; dopo i 60 anni, tutto alla grande. Saró la reginetta della casa di riposo. Stupendo. Ecco la mia vita vista da due ciarlatani cinesi sbronzi.
Domani, ultimo giorno prima del rientro in Italia, voglio cercare un altro indovino per un secondo consulto. Un indovino sobrio, magari. Ormai mi sono appassionata all’arte divinatoria. Spero che questo mi prospetti un futuro un po’ più roseo e possibilmente non mi dia della baldracca. Chiedo troppo?
Ciao Hong Kong, forse ho passato troppo poco tempo con te per riuscire a capirti. Forse non sei così ostile come sembri, forse bisogna digerirti poco alla volta. Magari ti daró una seconda chance.
Ciao strana e decadente Macao, sei stata una bella sorpresa. Mi dispiace di averti giudicata frettolosamente.
E ciao indovino sbronzo hongkonghese, io non credo che tu conosca il mio futuro. Voglio credere che, almeno in parte, il mio futuro dipenda da me. Peró mi hai fatto fare delle belle risate, e quindi anche se sei un ciarlatano ubriacone non sei passato invano nella mia vita. Sarah Baldo

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