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Un inedito di Piero Bigongiari, una poesia di P.F.Iacuzzi

Creato il 02 aprile 2011 da Ellisse
Luigi Russo Papotto - Il ceppo biancoChiudo la serie di post dedicati ai lavori del Premio Internazionale Il Ceppo di Pistoia con una poesia di Paolo Fabrizio Iacuzzi, direttore artistico del premio, ispirata all’opera simbolo dell’edizione di quest’anno, un origami dello scultore Luigi Russo Papotto dal titolo “Il Ceppo bianco”. Iacuzzi è tra l’altro curatore dell’opera di Piero Bigongiari ed è nell’ambito del premio che del grande poeta è stato presentato il testo inedito qui pubblicato. Ringrazio Iacuzzi per il materiale concesso a Imperfetta Ellisse per questa occasione e per i post precedenti

Il Ceppo Bianco


Cartografia assiale è quanto ho appreso nell’orto dai frutti.

E da questo padre che prima della morte ha invaso la Natura.

Già esiste al di là della sua vita. Percorre in discesa il bosco

Di castagni. Arriva al cerro sughero. Disegna la carta in forma

Di trapezio. La peripezia umana. Qui nel ceppo tagliato

Il castagno si esprime in mazze sottili di carta. Possiede

La forza degli origami che non diresti. Le mazze bianche.

I ritagli di carta. La neve nel primo inverno. Qualche foglia

Verde rimasta intatta nei bronchi neri. Una bianca è il sellino.

Bicicletta l’intreccio della cesta in divenire. Stretta con fili

Di paglia. Manubrio e canna tralci di vite bianca. Calce.

Si muove il vento. Si concede il movimento. Salire dai bronchi

Neri andati a fuoco dopo il taglio. A volte s’impenna alta.

Spaventa gli storni piovuti in assalto. Nella bandita di caccia.

Paolo Fabrizio Iacuzzi

Una poesia inedita di Piero Bigongiari

La foresta dell’Acquerino

Ebbi un paese pieno di foreste

e botri e feste mattutine, vidi

l’irradiarsi del sole tra le fronde

gelide ancora della notte, udii

parlare il muto come un animale

preistorico. Perché dunque se dico

che io so stare dove non si può

sostare, sembra incredulo il mio detto?

Nulla più dell’imperfezione è

perfetto, nulla più del tragico è

dolce.

   Acque cadenti giù di masso

in masso che scherzavano coi venti

furono testimoni che il mutare

era piuttosto stare nell’infrangersi

dello specchio. Il diamante dove appare

e scompare della vita, se lo

estrassi dall’anulare del padre

e lo lasciai cadere e scheggiare

la trasparenza oscura, dove amare

era solo un sospetto, dove mai

io posso ritrovarlo?, oltre il tarlo

della mente, nei suoi oscuri cespiti

dove la luce e il niente che s’incontrano

si toccano a vicenda.

   È in frammenti

che il canto inascoltato trova i suoi

più nascosti elementi come persi

sul buio pavimento luccicavano

minuscole le schegge che indicavano

che il cammino non regge se le sue

direzioni non moltiplicano il senso

delle regge della felicità

da abbandonare. È dolore, non polvere

sostare dove l’uomo deve stare.

– Ma tu, o dolcissima, non voltarti,

sei sulla curva estrema del tuo sguardo. –

Segno qui per te un frammento del poema,

pur se in grave ritardo sul suo tema.

14 maggio 1989


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