Un infinito numero

Da Aquilanonvedente

Io, umile scribacchino padano, credo che Sebastiano Vassalli sia uno dei migliori scrittori italiani viventi.

Dopo essere stato letteralmente affascinato da La Chimera, i successivi libri che ho letto mi hanno rafforzato nell’idea che ho testé espresso, compreso quest’ultimo, acquistato in una libreria di Cesenatico, nella quale la piccola mi trascinava quasi ogni sera.

Un infinito numero è, anch’esso, un romanzo storico. Anzi, un romanzo sulla storia, che è cosa diversa, che è cosa che avvolge e travolge gli uomini, che ne schiaccia la stragrande maggioranza, che li umilia, che ne fa emergere alcuni affinché possano tormentare i loro simili, finché anch’essi saranno seppelliti da chi prenderà il loro posto.

La storia è ambientata nell’antica Roma, ai tempi di Ottaviano Augusto, dopo la fine della guerra civile con Marco Antonio ed è raccontata da Timodemo direttamente all’autore.

Timodemo è l’ex schiavo di Virgilio, poi reso libero ma che resterà vicino a lui fino alla sua morte, e narra il viaggio che loro due, insieme a Mecenate, compiono nell’Etruria, cercando di capire per quale motivo gli Etruschi non abbiano lasciato tracce scritte della loro storia. Ma i tre sono anche alla ricerca di notizie sulle origini di Roma, perché Virgilio ha ricevuto l’incarico di celebrarle in un poema, per dare lustro a Ottaviano.

Attraversando un’Etruria ormai in decadenza, una sera in un tempio i tre rivivranno tragicamente le vicende dello sbarco di Enea in Italia, della distruzione dei villaggi nelle terre dove si vogliono fermare, dei massacri di uomini, vecchi e bambini, della prigionia delle donne, tenute in vita per la prosecuzione della specie. E da questa operazione di pulizia etnica, narrata in pagine che difficilmente si dimenticano, nascono le dodici città etrusche, ma anche una tredicesima, Roma, mai riconosciuta come etrusca e abitata dalla feccia della feccia dei conquistatori.

Tornati a Roma, Mecenate, come tutti gli amici dei dittatori, cade in disgrazia, mentre Virgilio viene costantemente torchiato da Ottaviano affinché termini il suo poema e lo si pubblichi. Ma Virgilio è restio a raccontare la storia di Enea in chiave agiografica e prima di morire incaricherà due servitori di distruggere l’Eneide. Lo stesso Timodemo cercherà di farlo, senza riuscirci e, essendo stato condannato a morte, se ne fugge nella campagna pugliese, senza poter più visitare la tomba di Virgilio e senza poter leggere alcun libro, per non destare sospetti sulla sua vera identità.

Ecco, questa è la storia raccontata obrobriosamente da uno scribacchino padano che ora, senza ulteriori tentennamenti, giura di chiudersi in casa, indossare un cilicio e concentrarsi su Bibùlo2.



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