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Non è solo uno dei migliori scrittori italiani, Marco Lodoli, è anche un bravo insegnante, che il suo mestiere, si capisce, lo ha sempre fatto con grande passione e motivazione. Per questo mi hanno trasmesso una grande tristezza i pensieri che ha messo nero su bianco l'altro giorno su Repubblica (titolo, La vera lotta di classe).
Racconta come sono cambiate le cose nei suoi 30 anni di insegnamento, Marco Lodoli. E le sue parole dipingono qualcosa di simile a un cambiamento antropologico, che va ben oltre i tagli di questo o quel governo, oltre le varie dissennatezze e ipocrisie ministeriali.
C'è tutto un mondo che è cambiato, che ha cambiato i ragazzi, che ha cambiato lo stesso modo di stare in aula e la capacità di comunicare di un insegnante che di questa capacità si faceva un vanto. Quel ero convinto suona davvero molto simile al Noi credevamo del film di Martone sul Risorgimento.
Ai ragazzi parlo di letteratura, ma ormai è una lingua perduta, come il latino o l'aramaico... I miei studenti di periferia... odiano il cinema perché bisogna stare due ore zitti e al buio, non fanno sport, chattano, passano il sabato nei centri commerciali. Ho alunni che spediscono trecento sms al giorno, tranquillamente
E la conclusione, è ovvio, potrebbe davvero suonare come una diagnosi infausta:
Trent'anni di disprezzo per la cultura – roba da poveracci, da infelici – hanno portato a questo: a un paese povero e infelice
Vero, maledettamente vero. Meno male che ci rimangono tre righe, le ultime, a cui aggrapparsi dopo il naufragio:
Ma io non mollo, continuo a indicare ai miei studenti un punto più alto, dove l'aria è migliore, dove si vede meglio il mondo
Beh, bisogna ringraziarlo, Lodoli. Finché ci saranno insegnanti come lui (e lo so che sono tanti), insegnanti sempre pronti a riemergere dalle carte della burocrazia per offrire le parole di Dante o di Melville, di Pavese o di Tolstoi, finché ci saranno questi insegnanti malgrado tutto, insomma, questo paese avrà ancora futuro.
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