Un’intervista con Remo Bassini
Remo Bassini
Bentornato Remo su Liberi di scrivere. Da pochi mesi è uscito per Perdisa il tuo nuovo libro Vicolo del Precipizio, un libro scomodo se vogliamo, che mette a nudo molti mali dell’editoria italiana, ma penso che all’estero le cose non siano più rosee, mali che si vorrebbe nascondere, scopare sotto il tappeto, perché tolgono nobiltà alla professione di scrivere. Il personaggio di Giovanni esprime bene questo malessere. Ce ne vuoi parlare?
Da anni vado dicendo una cosa, che per me è importantissima ma che passa inosservata. Vado dicendo che per chi scrive il momento più importante, più bello, più intimo è quello della scrittura. I ricordi più belli che ho io li ho descritti nel primo capitolo di Vicolo del precipizio: gli attimi che precedono la scrittura e poi la scrittura, per ore, magari bevendo caffè e fumando sigari o pipa, come faccio io, con il gatto che mi si strofina ai piedi. Giovanni è lo scrittore che ha perso la passione per la scrittura. Lui fa parte del meccanismo: pubblica libri, si affida agli editor, frequenta altri scrittori, usa la maschera dello scrittore per abbordare donne, chiede anticipi eccetera. Ma non si sente più affascinato dalla scrittura. Giovanni, insomma, è come una malattia: da cui stare in guardia.
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