Quando parliamo di Kenya, dalle nostre parti pensiamo subito alle bellissime e interminabili distese di spiagge di sabbia fine lungo il mar Rosso, alle nostre immersioni e battute di pesca nell’oceano Indiano, ai villaggi vacanze o agli hotel a cinque stelle, dove tutto è perfetto per il turista occidentale, e nulla manca al riccone di turno in vena di totale evasione.
Se siamo però di quelli che leggono quasi ogni giorno il giornale,il nominare Malindi e i suoi dintorni, ci fa subito immaginare ,invece, anche l’eventualità di un possibile sequestro del quale poter essere probabili vittime o d’incursioni non proprio pacifiche nei resort’s, opera di fuoriusciti somali, entrati clandestinamente in territorio kenyota.
Se siamo( e qui la cosa si fa seria) di quelli che si occupano di cooperazione internazionale e/o politica estera, allora siamo certamente informati che laggiù, nonostante le immagini coloratissime e accattivanti in carta patinata delle riviste del settore o delle agenzie di viaggio, le cose non vanno poi del tutto troppo bene.
Più che i nostri principali quotidiani d’informazione ,del forte vento di secessione che soffia da parecchio tempo a questa parte nel Kenya costiero, ne racconta con dovizia di particolari un articolo del numero di aprile, di “Nigrizia”, la rivista mensile dei Comboniani di Verona.
Il problema di fondo di questo Kenya dai mille volti contraddittori, come le baraccopoli malsane e fatiscenti, dove allignano miseria e malavita accanto al lusso sfrenato di certi contesti della capitale Nairobi o come i porticcioli in cui sono attraccate imbarcazioni da sogno per i “vip” a fianco a poveri villaggi di pescatori, dove si stenta a mettere insieme un pasto al giorno, rimane ed è lo sfruttamento indebito di chi abita in particolare la costa e vive una sorta di emarginazione, non meritata, sulla sua stessa propria terra.
Ecco allora che, con manifestazioni che di questi tempi si susseguono, il Consiglio repubblicano di Mombasa, principale città costiera, chiede che la Provincia della Costa sia indipendente.
Dietro di esso,il CRM appunto, scrivono i redattori di “Nigrizia”, si cela un disagio che è difficile da quantificare.
Coloro che sostengono questa linea politica, in prospettiva delle prossime elezioni,ormai non troppo lontane, sono moltissimi uomini e donne con meno di trent’anni che, pur avendo studiato sono senza lavoro e senza neanche prospettive di racimolarne, a breve, alcuno.
I più fortunati, con basse mansioni, raccattano un lavoro stagionale appunto nei villaggi-vacanze.
Le lamentele dei manifestanti di “Pwani si Kenya” riguardano soprattutto la connivenza dei politici locali ( si pensi alle note lucrose “mazzette”che finiscono nelle banche svizzere o nei paradisi fiscali) con uomini d’affari, che arrivano da lontano o anche da Paesi altri dello stesso continente africano con il solo scopo di fare del Kenya costiero la propria esclusiva riserva di caccia.
Chi sostiene la secessione e per essa manifesta è anche convinto che, a cose fatte, tutto andrà per il meglio e le condizioni della gente certamente miglioreranno.
Ma l’interrogativo obbligato, con tutto il suo deposito di sedimenti dì ambiguità, permane.
Chi può dire che in un “dopo” sarà il meglio o il peggio?
L’unica certezza, al momento, è che le manifestazioni sono dichiaratamente pacifiche anche se la polizia locale non perde di vista i manifestanti.
E questo perché ,proprio perché si tratta di povera gente, si vogliono evitare possibili infiltrazioni degli Al-Shabaab somali e, dunque, possibili strumentalizzazioni politiche .
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)