Europa ripresa dalla sonda Galileo nel 1996. Crediti: NASA/JPL/DLR
Usare Giove come trasmettitore radar per esplorare l’interno di Europa, una delle sue innumerevoli lune, sotto la cui superficie ghiacciata, spessa tra i 3 e i 30 km, si nasconde molto probabilmente un oceano. Un’idea che sembra bizzarra ma a cui gli scienziati stanno già pensando da qualche tempo. In un nuovo studio – già liberamente consultabile sulla banca dati arXiv e in attesa della pubblicazione su una rivista scientifica – un gruppo di ricercatori statunitensi propone ora un’ulteriore variante: l’utilizzo di una stazione radar passiva (solo ricevente) sulla superficie di Europa, quindi un lander sganciato sulla fredda crosta lunare da una sonda in orbita attorno a essa.
Nel nuovo report, gli scienziati suggeriscono che con tale accorgimento si potrebbe sondare il ghiaccio fino a una profondità di circa 7 km dove questo si presenti più “molle”, ovvero miscelato alla parte liquida, e fino a quasi 70 km in presenza, invece, di ghiaccio puro. Per capire meglio cosa significhi il “sondaggio” di un corpo planetario, Media INAF ha chiesto a Roberto Orosei, ricercatore all’Osservatorio di Radioastronomia dell’INAF ed esperto di rilevamenti radar nelle missioni spaziali, quali risultati si ottengono con questa tecnica.
«La tecnica che sfrutta la capacità delle onde radio – a frequenze di qualche megahertz – di penetrare nel terreno e di essere riflesse da strutture geologiche sepolte è nata negli anni Cinquanta del secolo scorso, ed è stata utilizzata sulla Terra per studiare i ghiacci polari, particolarmente trasparenti alle onde radio», racconta Orosei. «In seguito, nel 1971, un esperimento a bordo dell’Apollo 17 – chiamato ALSE – aveva sondato la crosta lunare ottenendo echi radar dalla base dei “mari” lunari».
Arrivando alle più recenti missioni spaziali, «da più di dieci anni due radar realizzati in Italia, MARSIS su Mars Express dell’ESA e SHARAD su MRO della NASA, studiano il sottosuolo di Marte, di cui hanno misurato il volume delle calotte polari, con spessori talvolta superiori ai tre chilometri e mezzo, scoprendo al loro interno una sequenza stratigrafica che racconta i cicli climatici del pianeta».
Passando invece alle esplorazione future, spiega ancora Orosei, «fin da quando l’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, ha cominciato a progettare una missione per studiare le lune ghiacciate di Giove, è sembrato logico usare questa tecnica per rivelare l’oceano di Europa, sepolto sotto una crosta di chilometri e chilometri di ghiaccio».
Tale missione, il cui nome è JUICE (JUpiter ICy moons Explorer), è già stata approvata, ma bisogna pazientare parecchio, in quanto il lancio è previsto nel 2022 e l’arrivo nel sistema gioviano ben 8 anni dopo. Attesa a parte, «la missione JUICE è prevista essere equipaggiata di un radar, RIME (Radar for Icy Moon Exploration), sviluppato da un gruppo a guida italiana. Nonostante le incertezze sulla composizione e struttura della crosta ghiacciata di Europa, ci si aspetta che RIME sia in grado di ottenere echi dall’oceano di Europa se questo si trova a profondità inferiori ai 15 km».
La missione JUICE studierà Giove e tre delle sue lune, tra cui Europa. Crediti: ESA
E se l’oceano si trovasse ancora più in profondità? «Il nuovo studio guarda alla ricerca dell’oceano di Europa da una prospettiva nuova e potenzialmente interessante», commenta Orosei, «partendo dalla constatazione che Giove emette onde radio nella stessa banda di frequenze in cui operano MARSIS, SHARAD e RIME, ma con una potenza enormemente più grande. Si pensa quindi che tali onde possano penetrare a profondità maggiori di quelle del radar prima di essere assorbite dal ghiaccio».
«Tuttavia», prosegue Orosei, «l’eco riflessa delle onde radio gioviane sarebbe comunque debolissima, e, soprattutto, dovrebbe essere rilevata in mezzo al rumore radio continuo prodotto da Giove stesso. Si tratta quindi di un’idea ingegnosa, ma che per la sua complessità tecnica richiede l’aggiunta di un modulo che atterri sulla superficie di Europa per captare meglio l’eco».
Ecco dunque la proposta di un modulo d’atterraggio, un lander appunto, come stazione radar passiva. Realistico? «Nella situazione attuale, con JUICE in avanzato stato di progettazione, è difficile immaginare che tale modulo possa essere aggiunto senza far schizzare alle stelle il costo della missione, ma ve n’è forse l’opportunità per una missione verso Europa che NASA sta studiando in parallelo».
La scoperta delle emissioni radio di Giove risale al 1955, mentre la loro origine è da ricercarsi nella magnetosfera generata dal gigante gassoso, la più estesa e potente tra quelle dei corpi planetari del Sistema solare. Vedremo dunque, in un futuro non lontanissimo, se questa sua caratteristica naturale permetterà agli scienziati di cogliere per la prima volta l’eco lontana dell’oceano nascosto sotto il mantello ghiacciato di una delle sue lune predilette.
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini