Cosa si fa con un libro? Un libro si scrive. La parola allo scrittore.
Venerdì 6 febbraio, alle 21 – Davide Orecchio
Davide Orecchio, classe 1969, ha esordito nel 2012 con Città distrutte. Sei biografie infedeli (Gaffi), premio Monello e Supermondello, premio Volponi e finalista al premio Napoli. Nel 2014 ha pubblicato Stati di grazia (il Saggiatore).
«Per quanto riguarda la scrittura “per la carta” — e parlo soprattutto di Stati di grazia, ma anche del mio primo romanzo — il problema (di pensare al lettore) non me lo pongo. Cerco di restare più concentrato sul tentativo estenuante di tirar fuori una cosa bella. E sono convinto che se si lavora bene su questo aspetto, sulla ricerca del bello, allora la possibilità di coinvolgere il lettore aumenta. Però ti ripeto, mentre scrivevo non mi chiedevo cosa avrebbe potuto chiedersi il lettore durante la lettura, se ne avrebbe contestato la complessità o, al contrario, apprezzato la musicalità».
«Stati di grazia è la mia risposta alla Storia. C’è dentro così tanto di quello che amo e odio e dell’uomo che sono diventato, e della mia condizione di orfanezza di beni collettivi, giustizia, uguaglianza, che non riesco a mettere a fuoco un personaggio, una vicenda, una singola scintilla che mi abbia messo in movimento. Quello che vedo, dal principio del libro fatica e adesso che è libro risultato, è un coro. Una rete di storie. Relazioni. Ognuna sostiene l’altra come accadeva un tempo, quando l’unione faceva la forza.
«È stata una contrannaturale digestione di vita. Succede secondo natura che si evacui lo scarto, la materia schifosa non nutriente. A me è capitato (di tentare) l’opposto. Ho incontrato gli sfridi e ho ipotizzato: posso aggiustarvi, pulirvi, rimettervi al mondo? Voglio digerirvi spiritualmente; disobbedire alla masticazione, allo stomaco, all’intestino. Voglio che rinasciate, rinascere assieme. Non credo in Dio, eppure vi pesco: memorie, aborti, libri bislacchi, brandelli, una ragazza ferita, un bambino che muore, un maestro che non insegna, una moglie che non ama, un’operaia emigrante poeta, un bracciante, la bellezza di una donna Quechua e di un monte in Sicilia, una miniera, una piantagione, un tipografo con l’inchiostro negli occhi, un elastico di viaggi tra Sicilia, Argentina e la mia città di nascita e vita – Roma».