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Un libro su chi decide nel sindacato

Da Brunougolini
C’è un tema decisivo, quello della rappresentanza venuto clamorosamente alla ribalta in occasione del varo di un sistema contrattuale non firmato dalla Cgil e di un contratto separato non firmato dalla Fiom. Quest’ultima ha poi elaborato una proposta di legge d’iniziativa popolare capace di determinare nuove regole democratiche.
Ed ora ecco un libro dedicato a questa intricata matassa. Il titolo, emblematico, è “Chi decide” (editore Tullio Pironti). L’autore, Antonio Passaro, capoufficio stampa della Uil, spiega “è assolutamente legittimo chiedersi chi debba decidere. Ma a volte assumere la decisione può essere più importante che dirimere la questione sul chi decide”. Un modo per chiarire che alla fine possono essere i fatti che decidono. E quindi con il nuovo sistema contrattuale sarebbe stata stabilita una rappresentanza presunta. Quella che Guido Baglioni ha chiamato “rappresentatività qualitativa”.
C’è da dire però che questa è solo una delle ipotesi conclusive esposte da Passaro. L’altra parla di un patto sociale (tra Confederazioni) basato su una legittimazione certificata come è avvenuto nel settore pubblico. Ma poiché nel privato esistono fenomeni di trasformazione e frammentazione si propone di passare tramite l’Inps. Ad essa ogni singola azienda trasmette il numero degli iscritti al sindacato, attraverso le trattenute sindacali e il Cnel potrebbe essere il centro di raccolta dei dati, intrecciati a quelli relativi alle elezioni delle rappresentanze sindacali aziendali. Il tutto potrebbe poi confluire in una legge.
La proposta è stata al centro di un confronto voluto dalla associazione “The Polis” (presidente Guido Fantoni) tra docenti come Edoardo Ghera, Franco Liso, Mario  Ricciardi, e dirigenti Uil come Massimo Masi, Rocco Palombella e Antonio Foccillo (segretario confederale). Un dibattito interessante così come appare di grande interesse, nel libro, tutta la parte storica che ricostruisce il dibattito sull’articolo 39 della Costituzione tra personaggi come Giuseppe Di Vittorio, Giuseppe Rapelli, Alberto Simonini e molti altri. Un po’ in ombra appaiono, nel volume, le questioni relative alla democrazia ovverosia alla partecipazione dei lavoratori e non solo degli iscritti alla vita del sindacato.
Non  alludo solo all’uso dei referendum per approvare o meno contratti separati o no, ma ad una partecipazione consapevole non basata solo su i “si” e i “no”, messa in atto fin dall’avvio delle piattaforme rivendicative. Come si faceva in una stagione che ha reso forti i sindacati italiani. Il rischio oggi non è solo quello di andare verso la costruzione di due sindacati corrispondenti ai poli politici, ma anche di sindacati statuali, legittimati da governi e imprenditori. Non dai loro naturali “padroni”, operai, impiegati e tecnici.

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