Un lupo mannaro americano a Londra

Creato il 16 giugno 2013 da Audrey2

Non ci si fascia la testa prima di essersela rotta, non si giudica un film senza averlo visto, ecc… Tutto vero, okay, ma io ho la fortissima sensazione di dover sottotitolare questo post: In loving memory of.
Hollywood ha deciso di far scontare a film “storici” la propria generale mancanza di idee, qualcosa di simile a un’infestazione micotica che, a quanto pare, colpirà anche Un lupo mannaro americano a Londra. Che farà la fine di tutto ciò che viene attaccato da un fungo parassita: verrà smontato, digerito, assimilato ed espulso in forma di scoria remake.
Eh, ma che cavolo è questa mania, per le chiappe Cthulhu? Una forma di onanismo del cinema moderno nei confronti di quello del passato?
Già immagino il trailer, improntato alla figaggine estetica della mutazione di David in licantropo; poi la martellante alternanza, scandita da una musichetta altrettanto martellante, di uno sfondo nero con strillone* bianco (“Questa estate/autunno/inverno/primavera/questo Natale/e Pasqua pure”) e un collage di quattro immagini d’azione, di uno sfondo nero con strillone in bianco (“La notte sarà di nuovo il regno del terrore”) e scene di sesso patinate, di uno sfondo nero con strillone in bianco (“Fuggite, sciocchi!”) e un paio di primi piani di quelli belli intensi, alla Twilight; un altro sfondo nero con strillone bianco (“Guardatevi dalla luna”) e un notturno con in sottofondo un ringhio; e poi, per chiudere con l’adeguata suspense, due secondi di protagonista femminile che strilla.
Il film vorrei poterlo NON immaginare, ma dopo aver visto un paio dei remake più recenti — quello di Evil Dead in testa — mi sento un filino pessimista. E quindi vedo un licantropo con il muso di uno wookie che si è appena svegliato, il pelo cotonato e la camicia strappata sull’addome con la tartaruga; non-morti con squarci da cui penzola lo slimer rubato ai bambini di tutto il mondo; automobili che non cappottano come le auto normali, ma eseguono flic flac e salti indietro raccolti e carpiati — il tutto al rallentatore, con qualche sprint improvviso e conseguenti scene di mortesubitanea**.
Sono prevenuta. Lo ammetto.
Ma il film lo vedrò lo stesso e non con l’intenzione di disprezzarlo e demolirlo a prescindere: non ho più l’età per queste minchiate. Il fatto è che una piccola parte di me — quella che ancora vola sul suo Mio Mini Pony che somiglia tanto a un unicorno — spera che, nonostante tutto, il remake sarà qualcosa di dignitoso, se non bello.
Nel frattempo, ieri mi sono goduta una serata Un lupo mannaro americano a Londra + merendine al cioccolato (tanto non potrò ingrassare per sempre, prima o poi raggiungerò il plateau: a quel punto dichiarerò guerra a quei dieci grammi in eccesso) + chinotto + Baileys.

John Landis, Rick Baker e David Naughton sul set

Titolo originale: An American Werewolf in London
Regia: John Landis
Sceneggiatura: John Landis
Genere: Horror
Anno: 1981

Un lupo mannaro americano a Londra è il genere di film sui licantropi che piace a me, al di là dell’indagine psicologica del personaggio e del suo conflitto bene/male: quello in cui il mostro è il protagonista e non un batuffolo di pelo accessorio, del quale in genere si sente solo il ringhiare e l’ansimare. Non ci sono oscuri segreti di famiglia da svelare, solo due ragazzi americani in gita in Inghilterra, che capitano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Aggrediti da una creatura fortissima, uno dei due — David — viene ferito, mentre l’altro — Jack — viene ucciso. Con ciò, Jack non esce affatto di scena, anzi: tornerà come non-morto, per esortare amichevolmente David a uccidersi, perché con il plenilunio si trasformerà in un licantropo, ucciderà, e finché la linea di sangue non verrà spezzata con la sua morte, lui e gli altri non-morti (le vittime del precedente licantropo e quelle future di David) saranno costretti a vagare sulla Terra, imputridendo.
John Landis affronta il tema del male nascosto in ogni uomo — che poi è uno degli aspetti che amo degli uomini lupo — e lo fa attraverso un protagonista carino e simpatico, il classico bravo ragazzo, abbastanza scapestrato e con quel pizzico di follia che lo salva dall’essere poco più di un attaccapanni ambulante. Lo fa, soprattutto, girando una commedia horror che, per quel che mi riguarda, si fa amare fin da subito: sia con le inquadrature della spoglia e cupa brughiera inglese, cui fa da sottofondo la bellissima Blue Moon interpretata da Bobby Vinton; sia con la presentazione di David e Jack, accoccolati in mezzo alle pecore; sia con la fantastica battuta del pastore che ha dato loro un passaggio, e che li congeda con l’avvertimento

State lontano dalla brughiera. Rimanete in strada. In bocca al lupo!

Veramente di rara perfidia! Se uno ha già visto il film, come me, la risata a denti stretti è quasi inevitabile. Se uno non l’ha visto, da quel momento saprà che in bocca al lupo i due ci finiranno letteralmente e magari penserà che il pastore è un gran pezzo di stronzo.
In effetti…
Ancora, la brughiera cupa e uggiosa fa da contraltare alle chiacchiere allegre di David e Jack – due elementi che spiccano sempre più per la loro estraneità in un luogo che diventa via via più inquientante, fino all’arrivo dei due al pub L’agnello macellato.

Nel cuore del Greenwich Village, a due isolati dal Waverly Theater, a New York, c’è un pub con lo stesso nome e un’insegna molto simile. DEVO andarci!
Tornando al film: curioso che nell’insegna vi sia una testa di lupo, invece che una di agnello. Anche Jack lo nota. È il lupo a essere macellato — magari per vendetta, magari per necessità. Lascio fuori altre interpretazioni: guardate il film.
Sorvolando sulla classica accoglienza diffidente, al limite dell’ostilità, che David e Jack ricevono, nel pub qualcuno arriva a contendere al pastore la palma di Mister Simpatia. Qualcuno che, spinto dal terrore di ciò che c’è fuori e di poter essere considerato un folle bifolco, dopo aver fatto sì che i due ragazzi sloggino, consegnandoli al loro destino, tacita le proteste della padrona dell’Agnello macellato con un

Che assassinio sia! Sono nelle mani di Dio.

Come battuta ha in sé una sottilissima vena di ironia e cinismo, solo che non fa ridere affatto.
Gli scrupoli di coscienza, quando arrivano, sono tardivi — come sempre. E fanno più danno che altro — come sempre.
Da questo punto in poi la storia prosegue tra scene grottesche, qualche arto allo sbando, una storia d’amore, e il conflitto di David — che non se la sente di uccidersi, anche se questo significherebbe smettere di fare vittime e dare pace a Jack e agli altri non-morti. Ci sono anche scene amaramente divertenti e macabre, come quella nel cinema in cui Jack attira David, per un consesso tra mostri. Nel cinema viene proiettato un film porno: See You Next Wednesday; un breve filmato che Landis girò poco prima di lavorare a Un lupo mannaro americano a Londra e che tornerà nelle sue produzioni seguenti.

Un lupo mannaro americano a Londra è una pietra miliare del genere, non solo perché affronta, per così dire, dall’interno il tema del licantropo, fino a quel momento — se non erro — portato al cinema e in TV in modo più classico, con il mostro come antagonista e filtrato dal punto di vista del protagonista che deve ucciderlo.
Lo è anche (per qualcuno, soprattutto) per la sequenza della trasformazione di David, che mi ha dato la sensazione di non essere completa (trattasi di fissazioni mie: è che non fa danno, ecco; nemmeno uno piccolo piccolo), ma che è semplicemente, innegabilmente FAN.TA.STI.CA! È dolorosa, come dovrebbe essere (prendete nota, indegni realizzatori della trasformazione pop-corn!). Mostrata dettaglio per dettaglio, ciascuno dei quali semplicemente perfetto.
Roba da leggenda.
Come il maxi tamponamento in Piccadilly Circus (nel quale Landis interpreta un povero disgraziato che viene investito da un’auto e spedito a sfondare la vetrata di un negozio), quando le macchine non avevano ancora imparato a volare.

Nessun dubbio sul fatto che queste due sequenze abbiano fatto scuola.
Rick Baker ricevette giusterrimamente l’Oscar al miglior trucco per i suoi effetti speciali.
Molto bella anche la colonna sonora, soprattutto per le tre versioni di Blue Moon: quella di Bobby Vinton, che accostata ai paesaggi iniziali, con il suo motivo da scampagnata fa risaltare il contrasto tra la brughiera e i ragazzi; quella di Sam Cooke, che accompagna con la sua raffinatezza la trasformazione di David; e quella dei The Marcels, che attacca subito, con il suo motivo vivace, quando lo spettatore ha appena avuto il tempo di vedere David per l’ultima volta, e sembra suggerire “Be’, signori e signori, lo spettacolo è finito e ci siamo divertiti. Che ne dite di un gelato o un aperitivo?”.
Questo per dire, in conclusione, che i maestri non imbottiscono di ironia solo i dialoghi, ma sanno come tradurla anche in accostamenti di immagini e suoni.
Buona visione!

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* Non ho idea di come si chiamino o se abbiano un nome. Io li chiamo così perché mi fanno lo stesso effetto dei titoloni dei giornali, che un tempo venivano strillati dagli strilloni. Appunto.
** Copyright di mia nonna. Gliel’ho sentito dire, per la prima volta, mentre stavamo guardando Vi presento Joe Black.

Questo articolo è stato importato dal mio vecchio blog: Storytime.



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