un Lynch zoppo e raffazzonato...
Creato il 10 giugno 2014 da Omar
atmosfere torbide e sudaticce, slide strazianti di chitarra a sottolineare i passaggi più intricati, paesaggi notturni sullo sfondo di anonimi motel che sono crocevia di morte e sangue. Un cadavere dagli occhi inquietanti, il frinire degli insetti notturni che incombe inesorabile a mo' di mortifera premonizione, le luci vive del neon sulla pelle di una superlativa femme fatale, ingannevole come il diavolo, e poi le paludi della Lousiana e i gangster strambi che concionano del più e del meno mentre agitano le loro pistole nichelate: c'è tutto quello che un appassionato di noir e pulp in salsa lynchiana potrebbe osare chiedere, in questo The bag man, una crime-story del 2014 firmata da tal David Grovic che vanta dalla sua un cast di tutto rispetto, se non fosse che. Se non fosse che, purtroppo, trattasi di cazzata ammorbante! Un prodottino ignobile e sgangherato che gioca con lo spettatore insultando non di rado la sua intelligenza.
La trama, sulla carta, avrebbe anche qualche picco d'originalità, ma la messa in scena è talmente ridicola che tutto va inesorabilmente a ramengo: il protagonista si chiama Jack (un sempre più bollito John Cusack), duro perseguitato da una cronica malasorte. Convocato dal leggendario boss Dragna (Robert De Niro) per portare a termine un compito semplice ma inusuale (prendere in consegna una borsa senza controllarne il contenuto), si ritroverà a dover attendere il suo arrivo in un motel durante una notte interminabile e assai movimentata, nel corso della quale la sua vita s'intreccia con quella della bellissima Rivka (Rebecca Da Costa). Quando Dragna arriva sul posto, per ogni pedina in campo le conseguenze saranno estreme e inaspettate.
Pellicola pasticciata che infila diverse traiettorie di genere senza riuscire mai a indovinare il tono giusto, The bag man è talmente cionco, rovinoso e malcostruito che potrebbe diventare perfino uno (s)cult: cosa c'è nella borsa al centro del plot? E chi è davvero la valchiria dalle belle gambe lunghe sei piedi che intenerisce il protagonista facendogli perdere la testa?Navigando in acque oscure e scellerate, il Carneade dietro la macchina da presa omaggia senza particolare riverenza le colonne portanti del canone, da Fuori orario a Velluto blu, ma fallisce clamorosamente indovinando giusto le facce (da non dimenticare Dominic Purcell nei panni dello sceriffo infido) per affondare vieppiù il suo maldestro plot entro una sequela sterminata di attese che portano a nient'altro che ad altre attese. De niro, ormai ben oltre l'evidente parodia di sé stesso, gioca (gioca?) a fare il boss mefistofelico e logorroico ma colla sua aria cotonata e finto-intellettuale regala giusto un altro po' di sconforto in chi lo ricordava come un Dio della recitazione.
L'insulsa trovata finale, con la puntata dell'eroina presso un avvocato da fumetto, pone fine una volta per tutte al tormento. E allora? Quale ragione per infliggersi tanto dolore? La risposta, con buona pace di ogni progressismo, risiede in una matematica elementare e un po' sessista: la splendida attrice brasiliana Rebecca Da Costa è davvero una gioia per gli occhi - si prega vivamente i lettori interessati all'approfondimento di googlare con dovizia - e vederle dimenare quelle immense stanghe lungo gli estenuanti 110 minuti del film mette i neuroni di qualsiasi critico in erba a nanna, e per sempre! Un guilty pleasure, in fondo...
Potrebbero interessarti anche :