Divertente e amaro, surrealmente vero nel suo cinismo senza esclusione di colpi, e - dato l'argomento - anche goliardicamente provocatorio e decisamente vietato-ai-minori, ma sempre gestito con sapienza e misura, il racconto in presa quasi diretta dei tre uomini in attesa (nudi) di essere chiamati per essere filmati in un'orgia di una stella del porno ormai al tramonto che, nella sua ultima gloriosa performance, tenta di entrare nel Guinness dei Primati cercando di farsi seicento uomini di fila, è qualcosa che - anche solo per l'originalità del soggetto e dalla struttura con cui è raccontato - sta dalle parti del puro genio. Così, colto da un'improvvisa crisi di astinenza, sono andato a togliere la polvere a Fight club, che mi avevano regalato un po' di tempo fa e che, avendo già visto il film, avevo lasciato ad ammuffire sulla mensola nella convinzione che il ricordo della versione cinematografica targata David Fincher mi avrebbe rubato troppo al piacere della lettura. Ma solo quello avevo, e in qualche modo dovevo pur placare i calci che la scimmia mi stava tirando, secchi, negli addominali (quali?).
In Fight club, sua opera prima, Palahniuk dimostra tutto lo speciale talento che ne ha decretato la popolarità (per la quale - purtroppo - c'è voluta anche la spinta di un film di grande successo, come spesso accade). Ma sono convinto che sia riduttivo costringerlo dentro i paletti dei modelli di genere. Palahniuk non è (solo) uno scrittore pulp. Palahniuk è un finissimo osservatore del mondo di oggi, dei suoi paradossi e dei suoi cancri, degli individui e delle gabbie dentro cui sono rinchiusi (e si lasciano rinchiudere) dal sistema, ed è un abilissimo costruttore di metafore letterarie. Palahniuk è uno che non si accontenta della prima impressione, ma che cerca le connessioni nascoste. Palahniuk è un autentico scrittore di razza, ed è solo l'etichetta di autore di genere ("estremo") a penalizzarlo presso il grande pubblico rispetto ad altri più celebrati maestri nel ritrarre gli orrori della post-modernità, come David Foster Wallace o Jonathan Franzen, giusto per citarne un paio che sono passati da queste parti, autori comunque difficili da raffrontare con lui, ma ai quali Palahniuk non ha niente da invidiare. Insomma, Palahniuk è da leggere. E basta.
A proposito, vi ho sentito... smettetela di chiamarlo "Palaniuc"! Si pronuncia "Pòlanic".
La citazione:
"Per tenerla su, per farla ridere, racconto a Marla della donna di Caro Abby che aveva sposato un impresario delle pompe funebri bello e benestante e la notte delle nozze lui l'aveva fatta immergere in una vasca di acqua gelida finché la sua pelle al tocco non era sembrata congelata. Poi l'aveva fatta distendere sul letto e l'aveva costretta a rimanere assolutamente immobile mentre lui si accoppiava con il suo corpo gelido e inerte.[Nota: Il "Caro Abby" di questa fantastica storiella è un evidente riferimento a una classica rubrica di posta dei lettori di una fantomatica rivista che rimane anonima, e viene riportato in questo paragrafo per la prima e ultima volta nel libro. Non c'è alcun altro riferimento nel romanzo. Anche questo è Pòlanic.]
La cosa buffa è che questa donna lo aveva accontentato da sposina ed era andata avanti così per i successivi dieci anni di matrimonio e ora scrive a Caro Abby per chiedere ad Abby se secondo lui aveva qualche significato particolare."
Fight club, di Chuck Palahniuk (Mondadori)