A quasi trent’anni dalla scoperta del fenomeno, l’osservazione di tre Oscillazioni Quasi Periodiche (QPO) simultanee nel sistema GRO J1655-40 consente di verificare la teoria che spiega la frequenza di questi misteriosi segnali e fornisce una precisa misurazione della massa e dello spin del buco nero
di Eva Ratti 28/11/2013 06:13Come è noto, questi oggetti incredibilmente densi non emettono, né possono riflettere alcuna luce, a causa dell’immane forza gravitazionale che si sviluppa in prossimità del loro centro e che impedisce persino ai raggi luminosi di allontanarsene. Tuttavia, quando un flusso di materia viene attratto e cade verso un buco nero, attraversa una regione in cui la gravità non è ancora tanto forte da impedire alla radiazione di fuggire, ma lo è abbastanza da surriscaldare il materiale fino a temperature di milioni di gradi Kelvin, accendendolo di una intensa luminosità concentrata nella banda X dello spettro elettromagnetico.
La situazione ottimale per studiare questo processo (detto di accrescimento) che libera una luminosità pari a migliaia se non milioni di volte quella del Sole, si ha quando un buco nero si trova in un sistema stellare binario, in coppia con una stella compagna che lo rifornisce di materiale da attrarre. A partire dagli anni ‘60, l’osservazione di simili sistemi (dette binarie X) ha consentito di imparare molto sull’accrescimento e sui buchi neri che ne sono il motore, ma molti misteri rimangono irrisolti. Uno di essi, che ha tormentato gli astronomi per quasi trent’anni, è quello delle oscillazioni quasi periodiche, o QPO (dall’inglese Quasi Periodic Oscillations).
Come in una composizione musicale, nella quale il segnale sonoro che arriva al nostro orecchio è composto dal contributo individuale di molteplici strumenti, anche la radiazione X emessa dai buchi neri in accrescimento è un insieme di segnali (elettromagnetici e non sonori) prodotti da diversi fenomeni fisici, che dipendono dalla dinamica ed energetica dei flussi di materia nel sistema e che sono molto difficili da distinguere uno dall’altro. Eppure, tra le melodie irregolari e varie che concorrono a formare l’emissione X osservata, emerge a volte un battito cadenzato, ripetitivo e regolare come quello di una grancassa che tenga il tempo; una vibrazione periodica, o vicina ad essere periodica, che si distingue per qualche tempo al di sopra delle altre, poi si perde, poi riprende di nuovo regolare, su una frequenza di poco diversa. Queste sono le QPO che, nel particolare tipo di grafico che gli astronomi usano per distinguere e analizzare le frequenze nel segnale X, appaiono come picchi stretti ed alti, che spiccano al di sopra della forma larga ed appiattita del rumore non periodico di fondo.
“Dopo tanti anni dalla scoperta, ancora non sappiamo per certo che cosa produca fisicamente l’emissione delle QPO, ” spiega Sara Motta dell’Agenzia Spaziale Europea, che da anni si interessa di questo fenomeno. “ ma per la prima siamo riusciti a dimostrare che le frequenze caratteristiche di alcuni di questi segnali corrispondono a quelle tipiche di un corpo in orbita in un forte campo gravitazionale, secondo le previsioni della Relatività Generale”
L’associazione dei misteriosi picchi quasi-periodici con le frequenze tipiche dei moti relativistici era stata ipotizzata già alla fine degli anni novanta, ma finora non era stato possibile confrontare le previsioni teoriche con i dati senza dover fare assunzioni incerte sulle proprietà del buco nero. Tuttavia, scavando tra i dati di archivio del satellite Rossi X-ray Timing Explorer, ormai non più attivo, Sara Motta e i suoi collaboratori (tra cui Tomaso Belloni dell’Osservatorio Astronomico di Brera e Luigi Stella dell’osservatorio Astronomico INAF di Roma) hanno scovato l’elemento mancante: in alcune osservazioni del buco nero in accrescimento GRO J1655-40 raccolte tra il 1995 e il 2001, i ricercatori hanno evidenziato la presenza di tre diverse QPO che sono visibili contemporaneamente.
“La presenza di tre QPO simultanee è fondamentale,” spiega ancora la giovane Sara Motta “perché, secondo il modello della precessione relativistica, le equazioni che descrivono la frequenza di ciascuna oscillazione dipendono da tre quantità che non conosciamo: la massa del buco nero, il suo spin (la velocità con cui ruota su se stesso) ed il raggio dal centro del buco nero a cui il segnale della QPO è partito. Così è necessario misurare la frequenza di tre QPO formatesi insieme, per risolvere il sistema senza fare ipotesi a priori sulle tre quantità incognite”.
Conoscere la massa e lo spin dei buchi neri è tanto difficile quanto è importante per verificare le teorie su questi oggetti.
“L’applicazione del modello di precessione relativistica alle osservazioni con tre QPOs” ci dice ancora Sara “non solo ci fornisce la prima prova sperimentalmente della validità del modello stesso, ma ci consente anche di misurare in un colpo solo la massa e lo spin del buco nero in GRO J1655-40, con grande precisione e senza fare ricorso ad assunzioni difficili da verificare.”
Si tratta dunque di una scoperta molto importante, sia per quanto riguarda la comprensione delle QPOs, sia perché fornisce uno strumento efficace per misurare due elusive quantità come la massa e lo spin dei buchi neri.
Per una conferma definitiva della validità del modello e del metodo, non limitata al sistema GRO J1655-40, manca solo l’osservazione di tre QPOs simultanee in altri buchi neri, ma Sara è fiduciosa che sia solo questione di tempo: “Sfortunatamente i picchi delle QPO non sono sempre sufficientemente intensi da emergere al di sopra degli altri contributi alla radiazione X. Migliorando la risoluzione degli strumenti con cui osserviamo, però, picchi finora nascosti emergeranno, consentendo la verifica dei modelli su più sorgenti. Potrebbero anche emergerne di nuovi che non ci aspettavamo e che ci permetteranno di affinare ulteriormente la nostra comprensione”
La ricerca è stata pubblicata con il titolo “Precise mass and spin measurements for a stellar-mass black hole through X-ray timing: the case of GRO J1655-40”, di S.E. Motta, T.M. Belloni, L.Stella, T. Muñoz-Darias, R. Fender sulla rivista scientifica Monthly Notice of the Royal Astronomical Society. Qui il link all’articolo: .
Fonte: Media INAF | Scritto da Eva Ratti