Domani, domenica 30 giugno, al Cairo è prevista una grande manifestazione dell’opposizione al leader egiziano Mohamed Morsi, che festeggia il suo primo anniversario alla guida del Paese in un clima ormai incandescente. Venerdì ad Alessandria due persone sono morte in scontri tra i fedeli e oppositori del presidente del partito Libertà e Giustizia. Mercoledì in un discorso trasmesso in tv Morsi ha parlato di «nemici dell’Egitto», riferendosi ai laici che contestano le sue politiche autoritarie, con cui da quando è al potere ha esautorato media, polizia e giudici.
Gli oppositori del Capo dello Stato, riuniti attorno all’iniziativa del Tamarrud (in arabo “ribellione”), chiedono le sue dimissioni. I suoi sostenitori – perlopiù islamisti – ribattono che si tratta del primo presidente democraticamente eletto in Egitto nelle ultime due decadi.
Un editoriale apparso sul New York Times spiega come il settarismo del mondo arabo – che si rinnova e conferma tale nel caso egiziano – sia sempre più uno dei problemi principali negli Stati islamici. Traduco:
Il presidente Morsi e i Fratelli musulmani, il partito islamista sunnita da cui proviene, non sono riusciti a unire un Paese in larga maggioranza sunnita e le sue minoranze cristiane e sciite attorno a un’agenda centrista nell’era post-Mubarak. Al contrario, hanno intensificato i legami con i salafiti più intransigenti in ambito islamico; hanno schernito gli avversari, compresi molti laici, chiamandoli “nemici dell’Egitto”; e hanno demonizzato le minoranze sciite e copte. L’innesco delle proteste popolari è venuto dopo mesi di discorsi improntati all’odio anti-sciita; la settimana prima dei tumulti, Morsi è apparso sul palco di un evento in mezzo a religiosi sciiti che hanno condannato gli sciiti come “schifosi”.
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