Un mondo di qubit

Creato il 17 agosto 2010 da Stukhtra

L’universo è quantistico. E basta

di Marco Cagnotti

Quest’intervista è disponibile in versione
ridotta anche nel
podcast di Quarantadue

L’atomo? Scordatelo. Ma questo lo sai già: l’atomo è un modello superato da quasi un secolo. Le particelle elementari? Scordati anche quelle. D’altronde ci sono le stringhe, no? Quelle sì che sono il fondamento della realtà e… Macché. Per niente. Se Mauro D’Ariano ha ragione, il mattoncino fondamentale non è né l’atomo né la particella né la stringa. E un nuovo paradigma sta per emergere.

55 anni, una cattedra di fondamenti della meccanica quantistica e di teoria fisica dell’informazione presso l’Università di Pavia, dove coordina un gruppo di 12 ricercatori, D’Ariano ha alle spalle 270 lavori pubblicati su riviste con peer review e 150 relazioni su invito. Nel proprio passato si è occupato di un sacco di cose: fratture in materiali polimerici, meccanica statistica, ottica quantistica, fisica matematica, teoria dei gruppi, sperimentazione in risonanza magnetica, transizioni di fase, teoria dell’informazione quantistica. Adesso è approdato ai fondamenti della meccanica quantistica e alla teoria della relatività. Vediamo se anche noi riusciamo a capire qualcosa di ciò che fa.

Sembra fatto di atomi. In realtà sono tutti qubit.

Mauro, perché cambi settore così spesso?

Perché mi annoio in fretta. Sai, in ogni campo io sono un autodidatta: imparo quello che mi serve a mano a mano che mi serve. E nell’imparare scopro cose sempre più interessanti.

Ma allora perché non ti sei fermato a studiarle?

Perché fin da quando ho iniziato questo mestiere ho avuto voglia di occuparmi dei fondamenti della fisica. Però mi mancava una scuola e quindi avevo bisogno di esercitarmi in campi differenti. Così quello che so adesso l’ho imparato lavorando, sul campo.

E il denominatore comune sembra essere la fisica quantistica. D’accordo, allora parliamone. Spiegaci in parole semplici che cosa diavolo è la fisica quantistica.

Te lo racconto sulla base di ricerche recentissime, che ho iniziato in solitudine nel 2003 a Chicago e che sono arrivate finalmente a un lavoro non ancora pubblicato ma ultimato negli ultimi due anni con i miei collaboratori Giulio Chiribella e Paolo Perinotti. Ebbene, abbiamo scoperto che la meccanica quantistica si può derivare da principi che riguardano solo il flusso d’informazione. La meccanica quantistica descrive la possibilità per un osservatore di ricavare informazioni sull’universo. Ci dice insomma quali sono le regole che ci permettono di comunicare con la natura.

Ma anche la meccanica classica ci offre delle regole. Dov’è la differenza?

Attento: devi distinguere fra meccanica quantistica e teoria quantistica. Possiamo chiamare “meccanica” non solo la struttura matematica, con gli spazi di Hilbert e l’algebra degli operatori, ma anche la descrizione del moto.

E queste ci sono anche nel mondo classico.

Sì, e la meccanica quantistica introduce le regole di quantizzazione. Ma se invece parliamo di “teoria”, cioè di struttura, allora la teoria classica è un sottoinsieme della teoria quantistica. Un sottoinsieme nel quale non si può fare la sovrapposizione degli stati. Che invece si può fare nella teoria quantistica. Se parlassi come un informatico, potrei dirti che la meccanica quantistica contiene più subroutine della meccanica classica. Perciò è più versatile.

Dunque descrive più fenomeni? Spiega più cose?

Sì, in linea di principio con la teoria quantistica si possono fare più cose che con la meccanica classica.

Per quale ragione secondo te la fisica quantistica sembra colpire così tanto l’immaginario collettivo? Fino al punto di mescolarsi con il ciarpame New Age

Secondo me il motivo è molto semplice: nella storia della fisica, solo con la meccanica quantistica appare per la prima volta la non località.

Spiegone, please

Ne aveva già parlato Einstein nel famoso articolo scritto con Podolsky e Rosen, descrivendola come spooky action at distance: azione fantasmatica a distanza. E’ stupefacente il fatto che ci siano correlazioni fra osservazioni e operazioni a distanza, che sono istantanee e che in nessun modo possono essere spiegate come lettura di una realtà scritta sulla memoria locale, nel punto esatto in cui si effettua la misura.

Un esempio?

Due elettroni entangled: quando misuro lo spin di uno, immediatamente determino lo spin anche dell’altro, a qualsiasi distanza esso si trovi.

E dov’è la novità?

Nel fatto che il risultato di quella misura non è affatto scritto da qualche parte nella memoria dell’elettrone.

Sicché non esiste finché non lo misuri.

E questo è dimostrato dal Teorema di Bell, che tutti gli studenti del mio corso possono verificare in pochi minuti. Ora, è chiaro che quest’azione fantasmatica a distanza suggerisce l’idea che il mondo sia un tutt’uno. L’entanglement rappresenta l’olismo, cioè l’inseparabilità. Uno stato entangled non può essere separato. E io posso conoscere solo lo stato complessivo. Questo è impossibile in meccanica classica. Ma c’è una novità.

Quale?

Solo di recente si è capito, grazie a principi informatici, che c’è un principio, chiamato “principio di discriminabilità locale”, secondo il quale, nonostante la natura sia olistica, tu la puoi osservare completamente localmente. Di conseguenza si è conciliato l’olismo con il riduzionismo, se vuoi.

E la New Age che c’entra?

La New Age vive ancora con quello che si era capito della meccanica quantistica fino a 20 anni fa.

Ma tu ti senti un po’ newageano?

(Sorride) Io sono aperto a tutto quello che mi dà emozione. E la meccanica quantistica, a parte mia figlia e mia moglie, è la cosa che mi ha dato le più grandi emozioni della mia vita.

Oltre a dare emozioni a Mauro D’Ariano, a che altro serve la meccanica quantistica? Insomma, sembra così astratta, lontana dall’esperienza quotidiana… Per dirla brutalmente: che cosa me ne viene in tasca dalla meccanica quantistica?

Quasi tutta la tecnologia che usiamo normalmente funziona basandosi sui principi della meccanica quantistica. Pensa ai semiconduttori. Oppure pensa al laser, toh. Il laser è ormai entrato in ogni abitazione. Non c’è una casa senza almeno una decina di laser, fra computer e telefonini e lettori di DVD. Però la miniaturizzazione ha sollevato il problema del controllo di oggetti molto piccoli. E a quel punto, su scale minuscole, tu devi fare i conti con la meccanica quantistica. Ormai la teoria arriva a considerare transistor con un numero minimo di elettroni, fin quasi a un unico elettrone. Ma attenzione: per effetto tunnel, che è un effetto quantistico, l’elettrone può sfuggire dal transistor.

Quindi le leggi quantistiche pongono dei limiti.

La meccanica quantistica è sempre stata vista come una limitazione. Prendi il caso della Legge di Moore, secondo la quale ogni 18 mesi si verifica un raddoppio di tutte le capacità di calcolo dei computer. Lo stesso Gordon Moore, cofondatore di IBM, aveva previsto che prima o poi la tendenza si sarebbe arrestata e la Legge sarebbe stata violata.

Ma è già successo. Ormai sarà un paio d’anni che la velocità dei processori nei computer commerciali di punta si è fermata.

Esatto. E questa è la causa dell’attuale crisi economica.

La crisi economica? Che c’entra? Adesso la colpa della crisi economica non sarà mica della meccanica quantistica!

Beh, il trend era esponenziale, ma si è bloccato due anni fa. Ed è chiaro che l’impossibilità di raddoppiare la potenza tecnologica ha influito sulla crisi. Ora, se effettuiamo un’analisi precisa, scopriamo che l’hardware si è diversificato più che potenziato. La stessa tecnologia viene impiegata per oggetti molto differenti, non più solo per i classici computer da tavolo. E proprio questi nuovi usi tengono in vita molte aziende. Prendi il caso di Apple e di Microsoft. Perché Apple se la passa molto meglio? Perché non fa più solo computer, ma anche telefonini di grande successo. Perciò secondo me parte della crisi economica è dovuta anche alla saturazione della Legge di Moore, quindi ai limiti quantistici. E in futuro andrà ancora peggio, perché l’economia globale dipende fortemente dalle innovazioni tecnologiche. Che sono al 90 per cento fisica fondamentale. Pertanto la meccanica quantistica è il nostro posto di lavoro… è la nostra vita… è tutto.

E forse ci apre prospettive insospettate. Per esempio… il teletrasporto. So che ti sei occupato anche di teletrasporto quantistico. Quand’è che anche noi potremo dire “Scotty, beam me up!”, come Kirk?

Dobbiamo anzitutto intenderci su ciò di cui parliamo. Se cerchi nel dizionario, trovi che per teletrasporto si intende la trasmissione a distanza di un oggetto, in maniera possibilmente istantanea e senza la necessità di avere un ricevitore nel punto di arrivo.

Come in Star Trek.

Precisamente. E non si può.

Non si può?

No, non si può.

Questa notizia non mi piacerà affatto a mia moglie, che detesta i mezzi di trasporto tradizionali e nel teletrasporto come in Star Trek sperava molto…

Quella è pura fantasia e, con la fisica che conosciamo adesso, sappiamo già che non si può fare.

Ma io ho sentito che…

Tu hai sentito parlare del teletrasporto quantistico, lo so. Lasciami spiegare. Se si affronta la meccanica quantistica senza ragionarci su in maniera precisa, si ha quasi l’impressione che la teoria lo proibisca. Pensa infatti a che cosa significa “teletrasportare”. E’ chiaro che non vuol dire trasportare materialmente un oggetto, altrimenti io mi teletrasporterei ogni mattina da casa mia fin qui al Dipartimento di Fisica. E certo non si può fare istantaneamente o almeno alla velocità della luce, perché sappiamo che è un limite irraggiungibile per qualsiasi oggetto materiale: per portarlo alle velocità della luce avresti bisogno di un’energia infinita. Pertanto l’idea è quella di trasferire lo stato della materia su un altro sistema fisico, che viaggia alla velocità della luce, e poi ritrasformarlo in materia. Un po’ come mandare un fax.

Già: con un fax, noi non mandiamo il foglio ma l’informazione…

…che viene ricostruita nel punto di arrivo. Allora il teletrasporto è un po’ come il fax della materia. Il primo problema è dunque conoscere lo stato della materia, per trasformarlo in informazione.

E la meccanica quantistica ci dice che non possiamo conoscere lo stato di un sistema fisico con qualsiasi precisione voluta.

Precisamente. Ci sono dei limiti imposti dal Principio di Indeterminazione di Heisenberg. Ma ammettiamo pure che sia possibile.

Ma non è possibile.

Lo so, ma ammettiamo che lo sia.

Ma non lo è.

Senti, mi lasci finire?

Va bene.

Ammettiamo che sia possibile conoscere lo stato della materia con qualsiasi precisione voluta. Ebbene, se vogliamo trasmettere lo stato del nostro sistema fisico, abbiamo comunque bisogno di un’informazione infinita. Perché qualsiasi misura fisica, anche lo stato di spin di una singola particella, è comunque un numero reale. E ogni misura fisica soffre sempre di un’imprecisione.

Capisco. Sicché la quantità di informazione dipende dalla precisione delle nostre misure. E quanto più sono precise tanta più informazione sarà necessaria. Al limite infinita. Quindi non si può.

Aspetta. Ammettiamo pure di poter trasmettere con una precisione elevatissima… diciamo un kilobyte per ogni atomo…

Cominci a chiedermi di ammettere un po’ troppe cose per i miei gusti…

Ammettiamo che sia così: un kilobyte per ogni atomo. Allora, se io volessi teletrasportare una persona, avrei bisogno di 1028 kilobyte. Se li mettessi su dischi rigidi e li impilassi, avrei una colonna che arriva fino al centro della nostra galassia. Se li trasmettessi con un’ADSL, non mi basterebbe l’età dell’universo.

Ho capito: la meccanica quantistica dice che il teletrasporto è impossibile per motivi pratici e di principio.

Invece no. Invece è possibile.

E’ possibile? Ma prima mi hai detto di no!

E’ possibile, e questo l’hanno capito i grandi scienziati che si sono occupati della quantum information. Si può trasmettere lo stato di spin di una particella con soli 2 bit, ma a patto di stabilire un canale di comunicazione adeguato.

E sarebbe?

Uno stato entangled. Sfruttiamo cioè l’olismo della meccanica quantistica. E non abbiamo bisogno di conoscere lo stato fisico del sistema per poterlo trasmettere. Così almeno i problemi di principio sono risolti.

(…)

Chiudi la bocca, ché sembri ebete.

Ma scusa, se non conosci lo stato di partenza del mio sistema fisico, come fai a sapere che quello che arriva è identico a quello che è partito?

Saperlo davvero, saperlo sul serio… non posso. Però la teoria mi dice che è identico. Io vedo lo stesso Marco Cagnotti e la teoria mi dice che ha gli stessi pensieri di quand’è partito. Quindi come stato fisico lui è la stessa persona, anche se è fatta di materia diversa. Ma se devo sostenere che è rigorosamente lo stesso, nel senso che lo stato di ogni atomo è proprio lo stesso… beh, non potrò mai dirlo, perché la meccanica quantistica me lo impedisce. Perché mi impedisce di conoscere lo stato di ogni atomo.

E l’originale?

L’originale viene distrutto.

Sicuro?

Sì.

Sicuro sicuro?

Sicurissimo. E’ un fax, non una fotocopiatrice. Non si possono fare duplicati, come talvolta succede ai personaggi di Star Trek. Fra i principi informazionali della meccanica quantistica ce ne sono alcuni in disaccordo con la possibilità di copiare l’informazione. Per inciso, questa è una buona notizia per chi produce informazione e deve proteggersi dalle copie non autorizzate. E’ il caso del software, per esempio.

Ma anche della musica e del cinema. Mannaggia, avrei preferito non saperlo. O forse no: anche i giornalisti producono informazione. Magari ‘sta faccenda finisce anche per farmi comodo… Ma mi accorgo che sto divagando. Archiviato il teletrasporto, dimmi un po’ di che cosa ti occupi adesso.

Anzitutto di lavoro tecnico di routine nella quantum information: tecnologie nuove che riguardano l’architettura di circuiti quantistici, nuovi processi, nuovi protocolli… cose così. Poi c’è il fondamento.

Il fondamento.

Già.

E cioè?

Cioè quello che interessa a chi vuol capire com’è fatto l’universo in profondità. Da meno di un anno mi sto occupando di uno dei problemi chiave della fisica: far andare d’accordo la meccanica quantistica con la teoria della relatività.

Con la relatività ristretta va già d’accordo. E’ la teoria quantistica dei campi, no? Ed è un matrimonio felice.

Mica tanto. Posso mostrarti una lista di errori lunga così nella teoria quantistica dei campi.

Addirittura.

(Sembra irritarsi) Certamente. E’ una tesi che posso sostenere contro chiunque. Se qualcuno vuole la guerra, sappia che dietro di me ci sono l’artiglieria pesante e le divisioni corazzate.

Calma, calma: non ti scaldare. Mi piaceva di più la metafora del matrimonio. Tu pensi dunque che il matrimonio fra meccanica quantistica e relatività ristretta non sia felice?

Diciamo che in realtà è un matrimonio con qualche litigio.

E tu sei un avvocato divorzista oppure uno psicoterapeuta di coppia?

Io penso che i litigi siano il sintomo di qualcosa che non va.

Che cosa non va?

Sai, il problema è che alla teoria quantistica dei campi la relatività viene imposta. Io direi perfino che le viene appiccicata con lo sputo, se non temessi di offendere Richard Feynman, che peraltro insieme a Paul Dirac considero il più grande fisico del Novecento. Invece la mia ipotesi di lavoro è molto più radicale: c’è solo la teoria quantistica. E il motivo è molto semplice: la meccanica quantistica è una teoria dell’informazione. Riguarda il flusso di informazione verso l’osservatore. Riguarda la sperimentabilità. Riguarda l’epistemologia. Il maestro di Feynman, sir John Archibald Wheeler, disse una frase che meriterebbe di essere incorniciata per farla rimanere nella storia: “La fisica è informazione”.

Avrei detto il contrario.

Cioè?

L’informazione è fisica.

Ecco, questo è quello che invece disse Rolf Landauer. Se ci pensi, è ovvio: l’informazione viene scritta, fissata, registrata su un supporto fisico. Ma Wheeler dice qualcosa di molto più profondo: non esistono gli atomi ma solo i bit. Anzi no, i qubit, cioè i bit quantistici.

Non esistono gli atomi?

No, sono un paradigma approssimato. E superato da un paradigma più potente: il paradigma informazionale.

Come sarebbe a dire che non esistono gli atomi?

Nessuno ha mai visto gli atomi. Mach ha sostenuto fino alla morte che gli atomi non esistono, ed era il 1916. E ha provocato il suicidio di Boltzmann per questo.

Io sapevo che Boltzmann s’era ammazzato perché soffriva di depressione.

Sì, però la leggenda vuole che gliel’avesse provocata Mach. Ma non divaghiamo. L’atomo è un concetto potente, che ci ha permesso di progredire moltissimo nella fisica e nella tecnologia. Tuttavia ha dei limiti. Come d’altronde anche il concetto di particella. Adesso però ti faccio io due domande.

Dimmi.

Prima domanda: per te la scienza deve poter distinguere fra quello che ritieni essere la realtà e una simulazione della realtà? Seconda domanda: se dovessi scegliere fra una vita paradisiaca ma simulata e una vita reale ma infernale, che cosa faresti?

Prima risposta: non c’è differenza fra realtà e simulazione. Una simulazione perfetta è indistinguibile dalla realtà. Seconda risposta: sceglierei senz’altro la vita simulata. Pillola blu, senza dubbio. Però la tua domanda mi ricorda qualcosa: il Test di Turing. Che differenza c’è fra un pensiero umano e un pensiero perfettamente simulato? Nessuna, perché sono indistinguibili. Il pensiero simulato ha dunque la stessa dignità del pensiero umano.

Tu e io dovremmo scrivere un libro insieme.

Grazie per la proposta. Ci penserò quando avrò finito quello che ho in cantiere adesso. Ma torniamo alla simulazione.

Secondo me la scienza non dovrebbe occuparsi di metafisica. Non dovrebbe distinguere fra una cosiddetta “realtà” e una simulazione perfetta. La mia seconda domanda era volutamente provocatoria: la gente di solito non risponde come te e vuole una vita “reale” perché è legata in maniera viscerale, non razionale, a una sorta di “realismo”. Come Einstein. Ma io sono sicuro che, se rinascesse, Einstein oggi cambierebbe idea e sarebbe d’accordo con me: il fondamento sono i qubit.

Più di ogni altra cosa, le emozioni più grandi gliele hanno procurate la meccanica quantistica, la figlia e la moglie. Non specifica in quale ordine di importanza, però.

In conclusione, il mattone del mondo è il quanto d’informazione quantistica elementare. E noi viviamo in una simulazione indistinguibile dalla realtà. Anzi, non ha neppure senso fare la distinzione fra “simulazione” e “realtà”. Dico bene?

Dici bene. La teoria quantistica è informazione pura. Perciò adesso dobbiamo riscrivere tutta la fisica in termini di informazione. E’ un programma molto ambizioso, ma questa sarà la fisica del XXI… anzi del XXII secolo.

Bisognerà farlo anche con la teoria della relatività, presumo. Che però è profondamente classica.

Ma la relatività è indipendente dalla teoria quantistica? E’ possibile ricavarla dal puro processing dell’informazione quantistica? La risposta è: se la realtà, tutta la realtà senza eccezioni, può essere simulata, allora sì, per forza. Se non fosse possibile ricavare la relatività dalla teoria quantistica, allora qualcosa non potrebbe essere tradotto in informazione. Qual è però il meccanismo con cui la relatività emerge dalla meccanica quantistica? La teoria quantistica di campo ci offre un insieme di rapporti di causa-effetto, che valgono dappertutto e che noi scriviamo sotto forma di equazione differenziale che deve soddisfare l’invarianza relativistica.

Causa-effetto? Credevo che fosse un concetto filosofico spazzato via proprio dalla meccanica quantistica.

Guarda, il principio fondamentale è proprio quella della causalità, che è alla base della computazione e dell’informazione.

Ma come puoi parlare di causalità, se il risultato di una singola misura è del tutto imprevedibile?

Su questa faccenda c’è da sempre una confusione infinita. La causalità e il determinismo sono due cose completamente diverse. La causalità ci dice che esiste una distribuzione di probabilità nel risultato che dipende… cioè è causata… da un’azione che avviene altrove. In sostanza, la causalità esprime il rapporto input-output. Questo non significa che si possa prevedere ogni singolo risultato di misura. Perché, quando parliamo di “previsione”, parliamo in termini probabilistici. E quella probabilità è intrinseca: non c’è un soggiacente processo deterministico sconosciuto.

Lo so: non ci sono variabili nascoste. Ancora Bell, guarda un po’. E tu dunque sei sulla strada che porta all’emersione della relatività dalla teoria quantistica?

Io ho mostrato come un computer quantistico, uniforme e universale come può esserlo una legge di natura…

Cioè una sorta di macchina di Turing quantistica, mi sembra di capire…

…come da questo computer quantistico possano emergere lo spazio e il tempo, con già dentro incorporati la contrazione di Lorentz e la dilatazione temporale. Sei mesi dopo un collega di New York ha ricavato la metrica di Minkowski. E adesso siamo vicini a ricavare la trasformazione di Lorentz. Devo ammettere che per adesso lavoriamo in una sola dimensione. Però quello che pensano tutti è che bisogna smettere di considerare lo spaziotempo come un concetto assoluto e vederlo invece come emergente dagli eventi. Insomma, le cose non accadono nello spaziotempo, ma è l’accadimento delle cose che fa lo spaziotempo.

‘spetta… mi ricorda qualcosa… Ecco! Wittgenstein, nel Tractatus: “Il mondo è tutto ciò che accade. Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose”. Mi piace. Ma senti un po’… Lorentz, Minkoswski: è tutta relatività ristretta. E con la relatività generale come te la cavi? Voglio dire: la gravità dove la metti?

E’ evidente che, se la fisica è informazione, allora anche la gravità dev’essere un effetto quantistico. E io ho già qualche idea. Però non te la racconto, altrimenti me la fregano. O magari no, magari il compito è impossibile per adesso e in realtà sarà alla portata solo di un computer quantistico. D’altronde, guarda, è un parere unanime. Ci sono convegni interi che parlano di gravità emergente. Gli stessi stringhisti ne parlano. Io sono un novizio in questo campo, nel quale sono entrato per conto mio. Ma se parli con Lee Smolin scopri che è uno di quelli che più appoggiano questo punto di vista.

Andiamo a concludere. Qual è secondo te il più grande mistero dell’universo? A parte il fatto che non ti hanno ancora conferito il Nobel…

(Sorride) Il più grande? Io direi cinque.

Accidenti, mai che nelle mie interviste io trovi qualcuno che non s’allarga. Facciamo cinque misteri, allora.

Anzitutto la materia oscura. E l’espansione accelerata dell’universo provocata dalla cosiddetta “energia oscura”. Poi la quantum gravity, cioè la conciliazione della relatività generale con la meccanica quantistica. E ancora l’unificazione delle interazioni fondamentali. Infine l’origine della vita.

A parte l’ultimo, che è roba da biologi, secondo te i primi quattro problemi sono legati fra loro? Ci troviamo alla vigilia di una rivoluzione nei paradigmi della fisica paragonabile a quella di un secolo fa?

I primi tre problemi sono sicuramente legati. Il quarto forse no. Però questo lo dico da profano. E penso pure che in fondo siamo tutti profani.

Amen.


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