Un mondo dotato di peso e di spessore

Da Marcofre

Esistono libri che è bene tenere sempre sotto mano, perché aumentano di valore col tempo. O forse, rileggendo certe frasi, alcuni passaggi, capisci che offrono al lettore spunti di riflessione che prima erano sfuggiti.

Questo capita perché sono ricchi.
Per esempio, sto parlando de “Nel territorio del diavolo” di Flannery O’Connor. L’autrice statunitense spiega che… 2+2 non fa 4.

Vediamo di capirci.
Spesso nella scrittura si crede di ottenere il risultato sommando cose, a cose. Lo scrive benissimo la O’Connor senza tanti giri di parole, o chiacchiere. Non si possono suscitare pensieri coi pensieri, emozioni con le emozioni.

Questa non è narrativa, ma aria. Se invece si ha l’ambizione di fare un po’ di narrativa decente bisogna dare corpo a questo genere di cose. Come? La risposta è: creando un mondo di peso e di spessore.
Delusi? Molto bene.

Ci siamo abituati a cercare su Google trucchi e strategie (e spesso trovando quello che si cerca). Prima o poi si arriva a un punto dove… NON ci sono trucchi e strategie. Nel nostro caso, la risposta migliore potrebbe essere: “Arrangiatevi”.

Non è qualcosa che si può copiare o insegnare; ma immagino che qualche dritta sia sempre possibile. Quello dovrebbe essere uno dei compiti di una scuola di scrittura.

Ma si tratta di un cammino del tutto personale, coi suoi metodi e tempi.
Di certo se la narrativa è parlare della realtà, questa è fatta di carne, sangue, odore, colori, vento e acqua. E piedi freddi. Soprattutto di piedi freddi dentro calzini rattoppati male.

Ecco perché 2+2 non fa 4. È necessario invece usare con giudizio i sensi. È per mezzo di essi che cose e persone ci parlano. È attraverso essi che possiamo rendere la storia, degna di essere letta da qualcuno.

Mi pare di averlo già scritto: la lista della spesa non entusiasma nessuno. Eppure molta narrativa di esordienti quello è. Intreccio e personaggi devono essere reali; si devono toccare con mano.

Carver scrive che quando il lettore chiude il libro, e resta in quel momento di strana attesa, in cui il reale rientra dopo essere stato scalzato dal sogno, è segno che l’autore ha svolto degnamente il suo lavoro. Ma perché quel sogno, che si chiami “Anna Karenina” o “Una cosa piccola ma buona” sia tanto convincente, da scacciare quello che ci circonda, occorre lavoro. Tanto.


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