Amici carissimi, se mi dovessero chiedere ad oggi qual è il periodo della mia vita che io ricordo con più nostalgia, risponderei senza esitare: “la mia infanzia”
Non solo perché quando si è bambini è tutto così speciale e magico, non solo perché da bambini si guarda il mondo con occhi che poi dimentichiamo, ma perché da bambino io sono stato decisamente felice.
La mia felicità si chiamava “Casoni” che era il nome della contrada montanara in cui io e la nostra numerosa famiglia parentale ci si trovava per il periodo dell’estate, finita la scuola…
Dire montanara è un po’ eccessivo; 700 metri d’altezza sono più collina che montagna, sono quasi ancora campagna, ma l’aria è più buona, non c’è mai la nebbia se non pochi giorni l’anno, quando le piogge continue di più giorni fanno alzare dal terreno il calore del suolo ed allora si forma lo scontro tra la terra calda e l’aria fredda della valle…
La mia felicità si chiamava nonna Giuseppina, una vecchietta che il tempo arido ed ingrato avevano trasformato in un piccolo ammasso di curve, di rughe e di gobbe…la nonna stravedeva per me, ero il suo pupillo; io avevo il privilegio di dormire nel suo lettone, io avevo il privilegio di vederla e sentirla recitare il rosario da sotto le coperte la sera, prima della lunga veglia notturna, io avevo il privilegio di seguirla nell’aia dietro le galline mentre lei le rincorreva e le chiamava alla mensa…
La mia felicità si chiamava correre nell’orto a raccogliere le carote, andare alla pozza a prendere l’acqua fresca per il pranzo, stare con i miei cugini sotto l’ombra del grande ciliegio, giocare a cucco la sera con i ragazzi più grandi che non si facevano mai trovare ed alla fine vincevano sempre…perché baravano…
Ricordo la luna, la grande luce bianca della luna nella frescura delle sere di luglio, ricordo il canto dei grilli mai stanchi di richiamarsi nell’aria, ricordo i tramonti dalla collina del monte rosso, ricordo le vacche che passavano con i loro campanacci da sotto le finestre delle stanze della casa, la nostra casa, il nostro mondo; ricordo il sole, il grano, il raccolto e la trebbiatura, ricordo le grandi feste domenicali intorno ad una bella crescentina calda condita con un po’ di formaggio e salame…
Quanti ricordi assordanti che non si vogliono spegnere e che credo, non si spegneranno mai…
Oggi vorrei potere sostituire quel periodo lontano e finito con una felicità nuova, tutta fresca e rinnovata, perché non ha senso che una volta diventati adulti, dopo avere vissuto un’intera vita, si abbia a scoprire di dovere mettere questa parola così importante tra quelle desuete.
Certo, da bambini abbiamo una contentezza inconsapevole, da adulti la nostra ricerca del sole, dello stare bene nel mondo e con il mondo, diventa consapevole, metodica, puntigliosa, quasi scientifica, per non dire di capitale importanza.
Di tutto si può fare a meno tranne che della felicità. Lo sanno i medici, lo sanno gli analfabeti, lo sanno a nord del pianeta come nel profondo sud, lo sanno tutti, eppure socialmente parlando tanto non si fa nulla per insegnarla, per trasmetterla, per coltivarla come garantito patrimonio dell’umanità.
Io mi sento un ricercatore che sta dentro il suo laboratorio tra tante ampolle effervescenti e colorate; c’è quella che rumoreggia, c’è quella che scoppietta, quella rossa, quella verde, quella gialla, quella grossa, quella stretta, quella con il collo a imbuto; io con grande maestria e curiosità le mescolo, le doso, le registro, le osservo, le pondero, le catalogo, se fossero viventi nel senso di organiche le sezionerei…e poi traggo le mie valutazioni.
Vi è mai capitato di scoprire che quello che cercavate lontano lo avevate vicino?
Vi è mai capitato di concludere che quello che avevate fatto con tanto convincimento e fatica e costanza e senso del dovere, alla fine si rivela quasi un estraneo che vi guarda dall’alto verso il basso e vi chiede: “Ma tu chi sei? Ma tu che vuoi?…”
Vi è mai capitato di rendervi conto di avere buttato via un sacco di tempo in un’attesa che pensavate fruttifera e lusinghiera, tanto di quel tempo che un giorno vi svegliate sudati nel letto nel pieno della notte, e vi trovate a chiedervi: “Ma io che ci faccio qui, dove sono i miei amici? Dove ho lasciato il ricordo del mio ultimo sorriso? Dov’è la luna? Dove sono finiti i grilli che cantavano???”
Come un fantasma, un’entità mai vissuta, vi trascinate nel centro della stanza, alzate lo sguardo al cielo in cerca della luna, fino a che la trovate, là, spiattellata nel centro del firmamento, che vi guarda bonaria e vi sorride dicendo: “ Amico mio, io stavo qui, sono sempre stata qui, per te che oggi hai deciso di acchiapparmi, e per chi lo farà domani, e per chi l’ha già fatto e non è più tornato indietro…”
Voi vorreste rispondere che non stavate dormendo, che stavate solo cercando, che avete atteso tutta la vita quell’incontro e che finalmente non avete più lacrime da versare…
Io voglio la luna, eccome se la voglio; la voglio a tal punto che non ho più nemmeno bisogno di spiegarmi il perché della vita, della morte, del dolore, delle scelte…tutto è ormai superato, con una veste leggera sei già fuori della stanza confuso con le pareti del cielo, non fa più freddo, anche se piove o tira vento o avanza l’inverno…
Quello che era prima abbandono e solitudine oggi è una strada piena di gente; quello che era prima noia mortale oggi è una ghirlanda colorata che promette ogni genere di sorprese; quello che prima era confusione e smarrimento oggi è chiarità assoluta, volontà cristallina di fare, di saltare in groppa alla stella più bella che c’è…
Mio Dio, come ho potuto stare tutto questo tempo senza la tua bellezza, o mia felicità?
Come ho potuto soffocare i singhiozzi perché non fossero sentiti per così lungo tempo???
Perché, dolcissimo Gesù, hai voluto questo da me? Come hai potuto lasciarmi solo nel grande pozzo mentre che il mondo correva, rideva, si divertiva, schiamazzava, indifferente ed ignaro di chi non ha gambe per camminare, bocca per ridere, possibilità di incontro alcuno….?
Ci si potrebbe chiedere come è possibile che nell’era del tutto concesso, nell’era del web che ci ha portato il mondo in casa e le case nel mondo, ci siano vite prestigiose e preziose a cui non viene concesso nulla perché mai nulla è stato concesso, se non di illudersi per una breve stagione, se non di respirare l’aria che viene selezionata per loro, o di pronunciare parole che possano stare bene con le parole di chi ascolta, o di progettare cose che siano null’altro che il riflesso di cose di altri…
Non importa, non importa più nulla, quello che è stato è stato. Oggi è morto e sepolto.
Da ora, si abita un mondo finalmente ordinato.
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