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Un mondo ordinato

Creato il 21 novembre 2010 da Dallomoantonella

 

Amici  carissimi, se mi dovessero chiedere ad oggi qual è il periodo  della mia vita  che io ricordo con più nostalgia, risponderei senza esitare: “la mia infanzia”

Non solo perché quando si è bambini è tutto così speciale e magico,  non solo perché  da bambini si guarda il mondo  con occhi   che poi  dimentichiamo,  ma perché da bambino  io sono  stato decisamente felice.

La  mia felicità  si chiamava  “Casoni”  che era il nome della contrada  montanara  in cui io e la nostra   numerosa  famiglia   parentale ci si trovava  per il periodo  dell’estate, finita la scuola…

Dire montanara  è un po’ eccessivo;  700 metri d’altezza  sono più collina che montagna,  sono quasi ancora campagna,  ma l’aria è più buona,  non c’è mai la nebbia  se non pochi giorni l’anno,  quando  le piogge continue di più giorni fanno alzare dal terreno il calore  del suolo  ed allora si forma  lo scontro  tra la terra  calda e l’aria fredda della valle…

La  mia felicità si chiamava nonna Giuseppina,   una vecchietta che il tempo  arido ed  ingrato  avevano trasformato in un piccolo ammasso  di curve, di rughe e di gobbe…la nonna  stravedeva  per me,  ero il suo pupillo;  io avevo il privilegio   di dormire nel suo lettone,  io avevo il privilegio di vederla e sentirla recitare il rosario da sotto le coperte la sera, prima della lunga veglia notturna, io avevo il privilegio  di  seguirla nell’aia  dietro le galline  mentre lei le rincorreva    e le chiamava  alla mensa…

La  mia felicità  si chiamava correre nell’orto a raccogliere le carote,  andare alla pozza  a prendere l’acqua fresca per il pranzo, stare con i miei cugini sotto l’ombra del grande ciliegio, giocare a cucco la sera  con i ragazzi più grandi  che   non si  facevano mai  trovare   ed alla fine vincevano sempre…perché baravano…

Ricordo la luna, la grande  luce bianca  della  luna  nella frescura delle sere di luglio,  ricordo il canto dei grilli  mai stanchi di   richiamarsi   nell’aria, ricordo i tramonti dalla collina del monte rosso, ricordo  le vacche  che  passavano  con i loro campanacci  da sotto le finestre  delle stanze della casa, la nostra casa, il nostro mondo;  ricordo  il sole,  il grano, il raccolto e la trebbiatura,  ricordo  le grandi feste  domenicali intorno ad una bella crescentina  calda  condita con un po’ di  formaggio e salame…

Quanti ricordi  assordanti che non si vogliono spegnere e che credo, non si spegneranno mai…

Oggi  vorrei potere   sostituire  quel periodo  lontano  e finito  con una felicità nuova,  tutta fresca  e rinnovata,  perché non ha senso   che una volta diventati adulti, dopo avere vissuto un’intera vita,  si abbia  a   scoprire  di dovere mettere questa parola  così importante tra quelle  desuete.

Certo, da bambini  abbiamo una contentezza   inconsapevole,  da adulti  la  nostra ricerca del sole,  dello stare bene nel mondo e con il mondo,   diventa   consapevole, metodica, puntigliosa, quasi  scientifica, per non dire di capitale importanza.

Di tutto si può fare a meno  tranne che della felicità. Lo sanno i medici, lo sanno gli analfabeti, lo sanno a nord  del pianeta come nel profondo sud, lo sanno tutti,  eppure  socialmente parlando  tanto non si fa nulla  per  insegnarla,  per trasmetterla,  per coltivarla  come  garantito  patrimonio   dell’umanità.

Io mi sento un ricercatore  che sta dentro il suo laboratorio  tra tante ampolle  effervescenti  e colorate;  c’è quella che  rumoreggia, c’è quella  che scoppietta, quella rossa, quella verde, quella gialla, quella grossa, quella stretta, quella con il collo a imbuto;    io con grande maestria e curiosità   le mescolo, le doso, le registro, le osservo, le pondero, le catalogo, se fossero viventi nel senso di organiche  le sezionerei…e poi  traggo le mie valutazioni.

Vi è mai capitato  di  scoprire  che quello che cercavate lontano lo avevate vicino?

Vi è mai capitato di concludere che quello che avevate fatto  con tanto convincimento e fatica e costanza e senso del dovere, alla fine si rivela quasi un estraneo  che vi guarda  dall’alto verso il basso  e vi chiede:  “Ma tu chi sei?  Ma  tu che vuoi?…”

Vi è mai capitato  di rendervi conto di avere buttato via un sacco di tempo in un’attesa che pensavate fruttifera  e lusinghiera,  tanto di quel tempo  che   un giorno vi svegliate  sudati nel letto nel pieno della notte, e vi trovate a chiedervi: “Ma io che ci faccio qui, dove sono i miei amici? Dove  ho lasciato il ricordo  del mio ultimo sorriso? Dov’è la luna? Dove sono finiti i grilli  che cantavano???”

Come un fantasma, un’entità  mai vissuta,   vi trascinate  nel  centro della  stanza, alzate lo sguardo al cielo  in cerca della luna, fino a che la trovate, là,  spiattellata  nel centro del firmamento,  che vi guarda bonaria  e vi  sorride dicendo: “ Amico mio, io stavo qui,  sono sempre stata qui,  per te che oggi hai deciso  di acchiapparmi, e per chi lo farà domani, e per  chi l’ha già fatto e non è più tornato indietro…”

Voi vorreste rispondere che  non stavate dormendo,  che stavate solo cercando, che avete atteso tutta la vita quell’incontro e che finalmente  non avete  più lacrime da versare…

Io voglio la luna,  eccome se la voglio;  la voglio a tal punto che non ho più nemmeno  bisogno  di  spiegarmi il perché  della vita, della morte, del dolore, delle scelte…tutto è ormai superato,  con una veste leggera  sei già fuori della stanza  confuso   con le pareti   del cielo,  non fa più freddo, anche se piove o tira vento o avanza  l’inverno…

Quello che era prima abbandono e solitudine oggi è una strada piena di gente; quello che era prima  noia mortale  oggi  è  una ghirlanda colorata che promette ogni genere  di  sorprese; quello  che prima  era confusione  e smarrimento  oggi  è chiarità assoluta,  volontà cristallina di fare, di saltare in groppa alla   stella più  bella che c’è…

Mio Dio,  come ho potuto stare tutto questo tempo  senza la tua  bellezza,  o  mia felicità?

Come ho potuto  soffocare i singhiozzi  perché  non  fossero sentiti  per così lungo tempo???

Perché,  dolcissimo  Gesù,  hai voluto questo da me?   Come hai  potuto   lasciarmi solo   nel grande pozzo  mentre che il mondo correva, rideva, si divertiva, schiamazzava, indifferente ed ignaro  di chi  non ha gambe per camminare, bocca per ridere,  possibilità  di incontro    alcuno….?

Ci si potrebbe chiedere come è possibile che nell’era del tutto concesso,  nell’era del web  che ci ha portato il mondo in casa e le case nel mondo,  ci siano vite prestigiose  e preziose   a cui non viene concesso nulla perché mai nulla è stato concesso, se non di illudersi  per una breve stagione,   se non di respirare l’aria che viene selezionata per loro, o di pronunciare parole  che possano stare bene con le parole di chi ascolta,  o  di  progettare cose  che siano null’altro che il riflesso  di cose di altri…

Non importa, non importa più nulla,  quello che è stato è stato. Oggi è morto e sepolto.

Da ora,  si abita  un mondo finalmente   ordinato.

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