20 febbraio 2014 Lascia un commento
Nabokov, Orwell, distopie, un cocktail irresistibile percio’ trovando il libro neanche troppo in bellavista su un ripiano basso in libreria, me ne sono impossessato immediatamente, domandandomi come facessi a non conoscerlo, consolandomi poi scoprendo che era uscito solo qualche settimana prima per Adelphi.
Nabokov uguale "Lolita" e va bene, in fondo e’ il destino di molti il restare legati alla loro opera piu’ celebre, compito del lettore pero’ e’ non intrappolarsi dentro equazioni troppo restrittive.
Ecco perche’ questo Nabokov sorprende su tutta la linea pur confermandosi nel pieno delle sue facolta’ e delle sue passioni.
Ambientato in una non ben definita provincia posta ai confini o dentro o sopra l’ex impero sovietico, in un tempo altrettanto indefinito ma si capisce essere attorno alla meta’ del secolo scorso, anni nei quali fu scritto e caso non strano contemporaneo a "1984", narra la storia di Krug, un professore di filosofia vedovo da pochi giorni e di suo figlio David. Fin dalle prime pagine si ha a che fare con l’ottusita’ del regime che governa il paese, stretto nella morsa sempre piu’ asfissiante di Paduk, dittatore che ha trasformato l’ekwilismo del filosofo Skotoma nel partito dell’Uomo Comune, nel facile parallelo tra Stalin e lo stalinismo rispetto il marxismo.
Si da il caso che Krug sia un ex compagno di classe di Paduk e forse l’unica persona in tutta la nazione a non temerlo, anzi a ricordare come a scuola lo tormentasse quotidianamente con soprusi fisici e e psicologici.
Egli non si tira indietro innanzi a nessuno e anzi racconta con un certo divertimento le torture che infliggeva a Paduk il rospo, come veniva chiamato a quel tempo, prima che un’ascesa hitleriana lo conducesse al potere.
Si giungera’ inevitabilmente al confronto finale.
Che la storia di Nabokov s’incroci coi due grandi orrori del XX secolo, comunismo e nazismo e’ un dato assodato per un uomo che ha sentito sulla propria pelle il sapore acido della dittatura. Come Orwell sa di cosa sta parlando e senza mezzi termini denuncia come realmente si presenta un regime totalitario in generale e comunista nello specifico, terribile humus in cui l’autore e’ cresciuto. E qui finiamo il parallelo con Orwell.
Krug non e’ Winston anzi ne e’ l’esatta antitesi per forza e determinazione, coraggio che nasce forse da una consapevole analisi del proprio nemico. Winston e’ solo contro un intero sistema, Krug ha per nemico un singolo uomo e percio’ puo’ permettersi maggiore spavalderia e del resto Winston non aveva alcuna possibilita’ di vincere contro l’intero mondo, Krug nell’uno contro uno, forse si.
Conclusione diversissima tra i due libri per quanto uguale nella sostanza, laddove leggendo Nabokov non puo’ che tornare alla memoria l’escalation di avvenimenti del "Brasil" di Gilliam e chissa’ che il nostro non ne abbia tratto ispirazione.
Ecco la sostanziale differenza dei protagonisti, quindi del soggetto dei due libri e in fondo dei due autori.
"Un mondo sinistro" e’ per Nabokov motivo di racconto e denuncia ma anche di sfida letteraria e linguistica, un esercizio di stile non come fine ma a compendio di una storia che sin dal titolo gioca con le parole cosi’ come gioca con le idee. Facile riconoscere questo in ogni pagina, avvisati peraltro dalla prefazione dell’autore e ancor piu’ nella decostruzione dell’Amleto di Shakespeare che diviene esercizio di stile, guida e analisi del romanzo e nel contempo della storia che si sta leggendo in una sorta di ricorsivita’ letteraria, interessante quanto stimolante.
Libro completo nel senso piu’ ampio del termine, possiede una quantita’ di livelli nei quali perdersi, senza dimenticare mai che il Male e’ assoluto soltanto per gli stupidi.
Nabokov uguale "Lolita" e va bene, in fondo e’ il destino di molti il restare legati alla loro opera piu’ celebre, compito del lettore pero’ e’ non intrappolarsi dentro equazioni troppo restrittive.
Ecco perche’ questo Nabokov sorprende su tutta la linea pur confermandosi nel pieno delle sue facolta’ e delle sue passioni.
Ambientato in una non ben definita provincia posta ai confini o dentro o sopra l’ex impero sovietico, in un tempo altrettanto indefinito ma si capisce essere attorno alla meta’ del secolo scorso, anni nei quali fu scritto e caso non strano contemporaneo a "1984", narra la storia di Krug, un professore di filosofia vedovo da pochi giorni e di suo figlio David. Fin dalle prime pagine si ha a che fare con l’ottusita’ del regime che governa il paese, stretto nella morsa sempre piu’ asfissiante di Paduk, dittatore che ha trasformato l’ekwilismo del filosofo Skotoma nel partito dell’Uomo Comune, nel facile parallelo tra Stalin e lo stalinismo rispetto il marxismo.
Si da il caso che Krug sia un ex compagno di classe di Paduk e forse l’unica persona in tutta la nazione a non temerlo, anzi a ricordare come a scuola lo tormentasse quotidianamente con soprusi fisici e e psicologici.
Egli non si tira indietro innanzi a nessuno e anzi racconta con un certo divertimento le torture che infliggeva a Paduk il rospo, come veniva chiamato a quel tempo, prima che un’ascesa hitleriana lo conducesse al potere.
Si giungera’ inevitabilmente al confronto finale.
Che la storia di Nabokov s’incroci coi due grandi orrori del XX secolo, comunismo e nazismo e’ un dato assodato per un uomo che ha sentito sulla propria pelle il sapore acido della dittatura. Come Orwell sa di cosa sta parlando e senza mezzi termini denuncia come realmente si presenta un regime totalitario in generale e comunista nello specifico, terribile humus in cui l’autore e’ cresciuto. E qui finiamo il parallelo con Orwell.
Krug non e’ Winston anzi ne e’ l’esatta antitesi per forza e determinazione, coraggio che nasce forse da una consapevole analisi del proprio nemico. Winston e’ solo contro un intero sistema, Krug ha per nemico un singolo uomo e percio’ puo’ permettersi maggiore spavalderia e del resto Winston non aveva alcuna possibilita’ di vincere contro l’intero mondo, Krug nell’uno contro uno, forse si.
Conclusione diversissima tra i due libri per quanto uguale nella sostanza, laddove leggendo Nabokov non puo’ che tornare alla memoria l’escalation di avvenimenti del "Brasil" di Gilliam e chissa’ che il nostro non ne abbia tratto ispirazione.
Ecco la sostanziale differenza dei protagonisti, quindi del soggetto dei due libri e in fondo dei due autori.
"Un mondo sinistro" e’ per Nabokov motivo di racconto e denuncia ma anche di sfida letteraria e linguistica, un esercizio di stile non come fine ma a compendio di una storia che sin dal titolo gioca con le parole cosi’ come gioca con le idee. Facile riconoscere questo in ogni pagina, avvisati peraltro dalla prefazione dell’autore e ancor piu’ nella decostruzione dell’Amleto di Shakespeare che diviene esercizio di stile, guida e analisi del romanzo e nel contempo della storia che si sta leggendo in una sorta di ricorsivita’ letteraria, interessante quanto stimolante.
Libro completo nel senso piu’ ampio del termine, possiede una quantita’ di livelli nei quali perdersi, senza dimenticare mai che il Male e’ assoluto soltanto per gli stupidi.