martedì 6 marzo 2012 di Valentina D'Aleo
C’è un momento nell’esistenza di ogni essere umano in cui si viene duramente messi alla prova. Sciagure cominciano a susseguirsi o accadono tutte nello stesso momento. E, come la famosa biglia sul piano inclinato, tutto precita inesorabilmente, mentre ci si sente risucchiati come escrementi dall’implacabile sciacquone. Ed è allora che si presentano due scelte: perire oppure evolversi. Sarebbe ipocrita pensare che tutti ovviamente propendiamo per la seconda, sospinti da un istinto di sopravvivenza retaggio della nostra origine animale. Molti non posseggono la giusta capacità di reazione, non ne hanno la forza oppure non hanno le giuste motivazioni per farlo. Così, intrappolati in quelle che sono note come ’disfunzioni dell’ego’, si soccombe alla depressione e a tutta quella gamma di sentimenti negativi che ci avvelenano e che, alla fine, siamo noi stessi a creare.
Spesso occorre arrivare sull’orlo del precipizio, subire una grande perdita affettiva o un dolore molto forte in generale, per giungere alla consapevolezza che occorre un cambiamento. Non sottovalutate mai la vostra forza interiore, perché anche nel momento di maggiore debolezza e vulnerabilità in quasi tutti scatta qualcosa. Quel ‘qualcosa’, che ci fa raggiungere la consapevolezza di essere sulla strada sbagliata, è il primo passo verso il cambiamento. Non si tratta di cambiare il taglio o il colore dei capelli e rifarsi il guardaroba.
Occorre farsi innanzitutto una domanda: che schifo di mondo ho creato?
Sprechiamo così tanti anni a crogiolarci nei rancori del passato, nelle invidie, nell’angoscia, nella rabbia per dei torti ricevuti, dando la colpa a chiunque della nostra infelicità e solo quando ci arriva uno scoppolone nel cozzo1 dalla nostra vera Essenza, che giace sotto tonnellate di detriti e guano, ci rendiamo conto che è la nostra mente che ha creato la maggiorparte delle nostre disgrazie. A lungo andare, non ci accorgiamo che ci identifichiamo talmente con i nostri problemi, veri o presunti, che alla fine diventiamo i nostri problemi, perdendo totalmente quello che in realtà siamo. Finché permettiamo a pensieri negativi di avere la meglio, finché ci giudichiamo attraverso gli occhi degli altri, finché non lasciamo il passato là dov’è il suo posto, perdoniamo e ci perdoniamo, non potremo mai trovare soddisfazione in niente e in nessuno. Continueremo a cercare senza sosta la felicità in cose o addosseremo a chi ci sta vicino il compito di portarcela su un piatto d’argento, ma non saremo mai felici. E saremo condannati a cercare in eterno di riempire dei vuoti che sentiamo dentro e che niente potrà mai colmare.
Per difendersi dal dolore l’essere umano crea a volte una corazza, erige muri intorno a sé, si chiude agli altri. E a quel punto, niente riesce a smuoverci da quella condizione, né la gente che cerca di farci reagire (che in genere viene odiata e schifiata perché il nostro ego si nutre di questa negatività e cerca di proteggersi da ciò che potrebbe causare la sua distruzione) né la forza di volontà. Poi accade qualcosa, un risveglio improvviso, brusco, da quel torpore che ci aveva anestetizzato. Se le imposte sono chiuse, la luce del sole non può entrare2.
Qui e ora. La sola cosa che possediamo e che c’è dato di vivere è il presente. Ci si mette così tanto a capirlo che appena si raggiunge questa consapevolezza, ti rendi conto di quanti anni, occasioni e opportunità hai lasciato scappare per giocare un ruolo che da solo ti sei dato.
E la cosa più bella, in barba alla Chiesa Cattolica, è che non c’è nessun Dio che ti dà la forza, non devi accendere lumini o fare pellegrinaggi grattuggiandoti le ginocchia su strade impervie o baciare i piedi lerci della statua di qualche santo per ottenerla. Dentro di noi c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. E una volta che lo capiamo, quell’universo bastardo smette di darci le spalle e, finalmente, ci viene incontro.
Non è facile capire ma soprattutto credere che non sono sempre stronzate e parole da invasati dell’ultim’ora quelle dette da chi non ne può più di vederci sottoforma di ameba sofferente, inerte come il pene di un vecchio centenario.
Forse è il momento di volerci bene, per permettere anche agli altri di volercene.
È quasi sempre necessario plonger au fond du gouffre pour trouver du nouveau3.
1 Trad. dal siciliano: “(ricevere) schiaffi sulla nuca”.
2 Eckhart Tolle, Un nuovo Mondo.
3 “Scendere nell’abisso per trovare il nuovo”, da Le Voyage di Charles Baudelaire.