L’opinione che il welfare tradizionale sia in via di disfacimento è ormai radicata in ambito economico, giuridico e politico. La critica espressa da Offe[i] alla fine degli anni ’70 è diventata il leitmotiv dei governi di fine XX secolo ed ancor più dell’inizio del XXI, alle prese con una crisi economica e finanziaria che appare ingestibile. Alle istituzioni dello stato sociale è stato rimproverata l’incapacità di rispondere adeguatamente ed efficacemente alle esigenze delle classi sociali deboli. L’apparato burocratico predisposto alla erogazione dei servizi e dell’assistenza si sarebbe rivelato eccessivamente rigido ed avrebbe creato una falsa (ideologica) comprensione della realtà politica e sociale da parte dei lavoratori. Per altro verso si è lamentata la sua propensione a frenare le logiche virtuose del libero mercato, disincentivando al lavoro. Tutte critiche che però riconoscevano la difficoltà (se non l’impossibilità) di individuare una formula alternativa valida.
La medicina amara che l’Europa a due (o tre) velocità propone, almeno in prima battuta, è quella della spending review, ritenuta il siero più efficace per una depressione da deficit spending. E’ questa la premessa concettuale al progetto di inserire in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio. E’ la giustificazione dei tagli alla spesa sociale.
Ma davvero l’austerità è l’unico strumento per uscire dalla recessione? In un recente articolo sull’Espresso, Luigi Zingales[ii] propone un’altra prospettiva, e indica gli aspetti negativi della “cura del rigore” suggerita dai Paesi del Nord d’Europa a quelli del Sud.
Secondo Zingales alcuni correttivi di metodo e di merito alla spesa pubblica sono inevitabili. E’ opportuna la promozione di una maggiore trasparenza nella erogazione dei fondi, visto che la sua assenza ha alimentato la corruzione e i privilegi, che hanno deviato le risorse destinate al sostegno delle fasce deboli. Anche la riforma del regime pensionistico è utile, poiché da tempo c’era uno sbilanciamento dei costi derivanti da quella voce del welfare rispetto alle altre. Accanto a questi interventi andrebbe però programmata un’azione contro la disoccupazione, che è insieme effetto collaterale immediato del contenimento della spesa pubblica e causa della riduzione della domanda interna e del PIL.
Zingales propone un intervento sovranazionale, che preveda l’erogazione di un sussidio omogeneo ai disoccupati, finanziato con fondi europei e amministrato dalle autorità europee, per evitare la corruzione politica, favorire la trasparenza, e avvicinare i cittadini all’Europa (che oggi è associata nell’immaginario collettivo al potere delle banche più che ai diritti degli individui).
E’ proprio questo il punto da cui partire nella “rottamazione” del vecchio welfare: i nuovi bisogni delle persone, i nuovi disagi e le nuove povertà, tutti legati ad una struttura sociale che si è trasformata negli ultimi decenni.
Lo stato sociale tradizionale ruotava intorno alla figura del capo famiglia lavoratore, la cui posizione doveva essere salvaguardata, poiché da essa dipendeva la sopravvivenza del nucleo familiare. Quest’ultimo si estendeva fino a comprendere nonni, zii e cugini. Si tratta di una situazione che si è progressivamente trasformata. Sempre maggiore è il numero dei singles, sempre più ristretto è il numero dei componenti della famiglia. Vi è una tendenza alla polarizzazione della occupazione e della disoccupazione, ossia alla “coesistenza di famiglie in cui nessuno lavora oppure tutti lavorano”.[iii]
La tendenza alla polarizzazione coinvolge anche i dispositivi di protezione sociale: accanto a categorie iper-garantite (i dipendenti pubblici) vi sono fasce prive di qualunque tutela (immigrati extracomunitari, lavoratori in nero, inoccupati).
Occorre un nuovo welfare, razionalizzato, per evitare le degenerazioni assistenzialiste e mirato sulle sopravvenute emergenze sociali. La disoccupazione in primo luogo (quindi la proposta di un sussidio gestito a livello europeo sembra valida), con una attenzione particolare per le donne. La tutela dei nuovi poveri (il cui numero è in aumento esponenziale soprattutto nel Sud) e dei veri inabili, in secondo luogo.
Il rigore dovrebbe essere concentrato sui tagli alle spese inutili (consulenze, in primo luogo), sui controlli (della veridicità delle autodichiarazioni che giustificano la attribuzione di sussidi o benefici) e sulla lotta alla evasione ed elusione fiscale.
Il welfare per lo sviluppo deve ridistribuire le risorse e non umiliare i cittadini, deve rilanciare i consumi e restituire fiducia nel futuro, deve trasformarsi riscoprendo l’originaria spinta universalista e progressista.
[i] Claus Offe, “Alcune contraddizioni del moderno stato assistenziale”, in Critica dello Stato sociale, a c. di Antonio Baldassarre ed Angelo A. Cervati, Laterza, 1982, p. 3 e ss.
[ii] In L’Espresso, n.28, 12 luglio 2012, pp. 44-5
[iii] Come osserva Tito Boeri, Uno stato asociale. Perché è fallito il welfare in Italia, Laterza, 2000, pp. 27-8.
Un nuovo welfare per lo sviluppo di Maurizia Pierri