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Un'onda che non si chiama desiderio. O solo in parte

Da Crudina

Un'onda che non si chiama desiderio. O solo in parte

Quale dei due sarà il più brutto? Lo scoprirete solo leggendo... (Photo by me)


Ecco un altro caso, anzi un doppio caso, di infatua-recensione online. Dopo essermi fatta incantare, anni ed anni fa, da tal romanzo epistolare (Per Lettera, del 1999, di cui presto scriverò), ho pensato che, a distanza di anni, avrei potuto fare un'altra esperienza positiva di quel tipo. Per certi versi mi sbagliavo.
Il primo romanzo ( "La settima onda"), letta la trama, sembrava, e per certi versi è stato così, la solita banalità contemporanea. Un errore di battitura nell'indirizzo e-mail, dà via ad una corrispondenza, all'inizio piuttosto concitata, di due persone che non si conoscono. Una cosa piuttosto scontata e già sentita. Devo dire però che, nel proseguo del libro, ho assistito a monologhi e discorsi molto ben scritti ed articolati, con qualche trovata simpatica ed originale che mi facevano desiderare di continuare a leggere per sapere cosa sarebbe successo. Le cose non erano ancora del tutto svelate, e le possibili conseguenze potevano non essere così scontate. Man mano che il libro proseguiva, l'errore si trasforma in passione, digitata, sognata e poi desiderata ardentemente, di queste due persone sole ma tanto appassionate.
Questa è stata interamente una lettura da treno, ed in questo caso non sono riuscita a farmi ingannare, e anzi, tutto ciò ha agevolato molto la partecipazione alle vicende dei due protagonisti. L'ho letto in febbraio, quando ancora la primavera era lontana, e quei cieli plumbei e il buio incombente già nel tardo pomeriggio hanno contribuito a creare una certa condivisione ed intimità con la coppia di conoscenti online.
Ma, come nella migliore tradizione, e come nella migliore furbizia editoriale, il libro non poteva finire così, con un lieto fine certo e probabile. Dopo un dipanarsi di missive sempre più appassionate e, a tratti, passionali, la cosa non si risolve.
Mi informo, e trovo il secondo volume ( "Le ho mai raccontato del vento del Nord"). Dopo vari tentennamenti, ed approfittando del mio incombente compleanno, decido di farmelo regalare da alcuni amici che, di fronte al solito bivio di indecisione, mi chiedono cosa desiderassi di regalo.
Non senza una punta di cinismo e di finta taccagneria, alla fine della sua lettura, mi rendo conto che sono stata contenta di non aver speso soldi per una tale boiata. Sembrava persino strano che l'avesse scritta la stessa persona del suo predecessore.
In questo caso, l'autore doveva portare all'epilogo questo continuo desiderarsi virtuale, dipanando una serie dopo l'altra di ovvietà, senza usare nemmeno un pò del precedente umorismo, leggerezza e simpatia. Lo leggo veloce, non centellinando nemmeno le parole come nel precedente caso, e, a tratti, provando persino un certo nervosismo ed antipatia verso il personaggio.
Ecco un caso in cui un libro solo sarebbe stato sufficiente a contenere anche la fine. Forse Glattauer avrebbe utilizzato tutta l'ispirazione così ardente nel primo caso e si sarebbe evitato un simile flop.

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