“Ero pentito di non aver preso l’aereo. Sarei arrivato a New York spinto dal ritmo dei grandi affari, dalla politica al vertice, dei personaggi sorridenti delle telefoto: la giusta via d’approccio per gli Stati Uniti d’oggi. Invece m’ero lasciato persuadere a prendere il piroscafo, il più moderno transatlantico americano in partenza da Le Havre”.
Sono passati trent’anni dalla morte di Italo Calvino, avvenuta a Siena nel 1985. Nell’ottobre 2014 Mondadori ha pubblicato “Un ottimista in America”: opera che l’autore, pur avendone già corrette le bozze e scelto il titolo, nel 1961 aveva deciso di ritirare perché poco originale. Così, quel “diario di viaggio” ritrovato fra le carte di Calvino, può essere finalmente letto come opera autonoma, testimonianza di un soggiorno negli Stati Uniti realizzato dallo scrittore fra il novembre 1959 e il maggio 1960.
Questa sorta di “iniziazione” nei confronti del Nuovo Mondo, lo porta ad affermare: “Negli Stati Uniti sono stato preso da un desiderio di conoscenza e di possesso totale di una realtà multiforme e complessa e altra da me, come non mi era mai capitato. È successo qualcosa di simile a un innamoramento”.
La città che più lo affascina – e in cui vive per la maggior parte del tempo – è New York, che definisce “elettrica”; dove la vita viene scandita da appunti che la gente prende sul proprio taccuino e consulta al momento opportuno. Quando parla di New York Calvino intende Manhattan, poiché di rado esce dall’isola. Il vero newyorkese si muove in taxi, e lui confessa di avere affittato persino un cavallo, pur di riuscire ad accedere a luoghi “genuini” della città. Manhattan è definita come il cervello del mondo industriale, separato dal corpo. E qui lo scrittore è colpito dal progresso: dalla tv a colori, per giungere a quella Borsa che regola l’attività finanziaria dell’intero globo.
In America nessuno ha scelto un luogo preciso, ma ciascuno ha colonizzato quello in cui gli è capitato di venirsi a trovare. Non c’è gruppo etnico che sia uscito indenne dal trauma dell’inserimento nel Nuovo Mondo, ma ciò che lega tutti è un senso di grande complicità. Gli Stati Uniti sono un mondo cangiante in cui è difficile fare previsioni; dove gli italiani, in particolare, si sentono alienati, sebbene abbiano dato il loro contributo con il “caffè”, inteso sia come bevanda che come luogo di ritrovo.
Calvino descrive l’orgoglio delle origini africane, espresse dal popolo indigeno; l’invasione dei portoricani che attuano investimenti; l’attività all’Actor’s Studio di New York. Soprattutto, mette in evidenza l’America come paese della “giovinezza”, cresciuto lontano dalla tradizione classica, dove l’antico scarseggia e non diventa mai vecchio. In America nessuno scrittore ha un secondo lavoro e si sta già sviluppando la figura del “ghost-writer”, nota ai nostri giorni.
Italo Calvino visita anche Cleveland, Detroit, Chicago, San Francisco, Los Angeles, New Orleans, Savannah in Georgia – che definisce la più bella città degli Stati Uniti. Ma anche Las Vegas e Houston, dove incontra scrittori, editori, sindacalisti e attivisti politici, così come gente comune.
Curioso che egli giunga ad individuare il colore dell’America come quello del “parcheggio”; ovvero una specie di mescolanza di “celeste e grigio e rosa e verdolino”, tinte pastello delle distese di automobili sotto il sole, ai piedi delle fabbriche e dei quartieri di uffici.
In particolare, di Chicago “denuncia” il grande potenziale di violenza; San Francisco offre un’immagine di ricchezza vitale; di Los Angeles nota l’estensione, affermando che attraversarla in macchina sia come andare da Torino a Milano. Nel New Mexico rimane colpito dai villaggi degli indiani, che reputa luoghi dove potrebbe anche fermarsi.
Una volta tornato in Italia, lo scrittore dà forma a questo “diario di viaggio” che in un primo momento avrebbe dovuto somigliare a “I viaggi di Gulliver”. Consapevole che i testi sull’America siano già molti, si era ripromesso di non scriverne altri. Ma alla fine si ravvede, poiché i libri di viaggio rappresentano un modo completo di fare letteratura e portano ad un processo di conoscenza, cosa che, in sintesi, è “Un ottimista in America”.
Un interessante spaccato dell’America del secolo scorso, per certi versi sempre attuale, delineato da un uomo che con entusiasmo scopre una nuova realtà e fa continuamente paragoni. A metà libro è presente una serie di fotografie di un giovane Italo Calvino e di alcune bozze corrette di suo stesso pugno.
Senza dubbio un’opera interessante, dove è possibile conoscere un Paese straniero, ma soprattutto i pensieri più intimi dell’autore di “Marcovaldo” e “Il visconte dimezzato”.
Da leggere, non ci sono dubbi.
Written by Cristina Biolcati