Per tutti i ’70 il porno era stato un fenomeno relegato a poche sale cinematografiche squalliducce, ai filmini super 8 che arrivavano dalla Svezia, e, tutt’al più, a qualche scena di seni al vento nei film scollacciati di Alvaro Vitali e Lino Banfi.
Con il boom delle tv commerciali, invece, ecco che l’erotismo esplose anche nel nazionalpopolare, invadendo i varietà, i programmi comici, i talk show.
Fu innanzitutto un boom di tette esagerate, quinte e seste di reggiseno schiacciate dentro mini-push up e costumini che strizzavano le poppe per offrirle in pasto a telecamere comandate da registi che, sempre di più, imparavano come far alzare l’audience dei maschi mischiando il linguaggio dell’intrattenimento televisivo classico con quello della cinematografia a luce rossa.
Cominciò Antonio Ricci inventando il Drive-in, un vero e proprio trionfo di mammelle, cosce e chiappe in bella vista che, alternando cabarettisti celebri ai balletti pieni di ammiccamenti di Carmen Russo e delle Ragazze Fast Food, avrebbe segnato non solo quell’epoca, ma anche tutto il futuro dell’emittenza, nonchè la cultura e la vita politica che da allora si riempirono di veline, letterine, schedine, olgettine e cocottes di ogni genere.
Il Drive-in ebbe un tale successo, e arrivò a influenzare talmente il costume popolare che anche la fino ad allora castissima mamma Rai dovette adattarsi, e rispondere con un programma altrettanto sexy ma, in quanto più raffinato e stiloso, non premiato dallo stesso riscontro di pubblico: “Il Cappello sulle Ventitrè”, show prenotturno nel quale si ricostruiva un vero e proprio night club proponendo gli strip tease che oggi chiameremmo burlesque di una starlette del calibro di Rosa Fumetto (storica spogliarellista del Moulin Rouge) e dell'allora debuttante Serena Grandi, dopo poco scoperta (è il caso di dirlo) e lanciata nel cinema erotico da Tinto Brass.
Qualche anno dopo arrivò “Colpo Grosso”, con le ragazze Cin Cin, e la prima versione soft-core del porno amatoriale. Un can can di mogli cellulitose e mariti dotati di pancetta davano sfogo al loro esibizionismo da sagra della patata togliendosi camicette e pantaloni in un gioco a quiz condotto da Umberto Smaila. Da lì ai filmini hard girati in casa con una telecamera non professionale e la mascherina sul volto il passo fu brevissimo.
Insomma… c’era tanto di quel feromone nella tivù degli anni ’80 che poi, inevitabilmente, la sessualità ad ogni costo debordò, uscì dal tubo catodico e invase le esistenze di tutti noi, condizionandole come nessun altro fenomeno sociale sarebbe riuscito a fare.
L’Italia era diventata un paese sui tacchi a spillo, ma noi ce ne saremmo accorti solo venticinque anni dopo.
Lì per lì sembrammo non farci caso.
Solo Edoardo Bennato ci scrisse su una canzonetta estiva che diventò sigla del Festivalbar ’87, e che ritraeva il nostro paese come una meretrice da marciapiede. Non credo sia un caso se, nonostante il successo del disco, poi, col passare del tempo, la hit fu dimenticata, e nessuna radio, oggi, la trasmette più:
Dolce e perversa fai un'altra promessa, tu
le calze con la riga nera
al tempo stesso sexy ed austera
la tua bandiera ondeggia e ti ricopre appena!...
Ti muovi bene sui quei tacchi a spillo
OK ITALIA!
dondoli i fianchi come solamente
tu sai fare
sei un rapido che è sempre in ritardo
sei un grande sogno da attraversare!...
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