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Un papa tra dittatura e diseredati

Da Brunougolini

Un papa tra dittatura e diseredati
Non sarà un “istant movie”, come sostengono gli autori, ricordando i lunghi mesi di preparazione, ma cade proprio a fagiolo il film “Chiamatemi Francesco” sugli schermi dal 3 dicembre. Nel senso che coincide con il periglioso viaggio del papa in Africa per celebrare l’inizio del Giubileo della misericordia. E coincide con le apprensioni sulla sua figura, testimoniate addirittura da una frase tremenda dell’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri intento ad augurargli una rapida fine. Come Papa Luciani. Una sortita che rappresenta bene lo stato d’animo di molti uomini di chiesa e non di chiesa. Costoro non digeriscono le sortite su omosessuali e adulteri, ma soprattutto quelle sulle grandi diseguaglianze presenti nel mondo. Con parole coraggiose ormai in disuso anche negli esponenti più progressisti della nostra epoca. Tanto che in Italia tutti coloro che faticano nello sforzo di dar vita a una nuova sinistra non vedrebbero certo male un “papa estero” con quel timbro papalino.
Lo sforzo generoso del regista Daniele Lucchetti e del produttore Pietro Valsecchi (Taodue film) è stato quello di cercare di ricostruire le radici di questa affascinante personalità. Il tutto facendo leva all’inizio su un libro di Evangelina Himitian: "Francesco il Papa della gente". Anche se poi all’anteprima del film è distribuito un altro libro curato da Giorgio Grignaffini (Story editor Taodue). E in effetti in queste pagine è possibile rintracciare gli stessi dialoghi dell’opera di Lucchetti.
E’ tracciata così per papa Bergoglio (interpretato dall’argentino Rodrigo De la Serna nella sua gioventù e nella maturità dal cileno Sergio Hernandez) non la figura di un “santino”, bensì quella di un personaggio complesso. Eccolo da giovane tra un ballo, (naturalmente un tango), un casto bacio con la fidanzata, nonché il tifo calcistico per il San Lorenzo. Poi lo vediamo nella maturità, nei meandri drammatici della dittatura militare, nonchè nel suo “esilio” tra i quartieri abbandonati di Buenos Aires. Quello che scaturisce è il ritratto di un sacerdote che cerca di assumere in qualche modo la figura del “mediatore” preoccupato, tra il dittatore Videla, il carnefice dei “desparecidos”, e le lotte armate degli oppositori. Nonché tra il cardinale esitante e gli occupati inferociti di un rione da smantellare. Il tutto in un’ organizzazione assai complicata come la Chiesa dove si fronteggiavano (e questo non succede forse tuttora?) sacerdoti pronti a imbracciare la “teologia della liberazione” ed altri che accoglievano con favore le soluzioni militari in nome dell’anticomunismo.
Il racconto è stato costruito sulla base di testimonianze amichevoli che documentano, in sostanza, l’impegno a favore degli oppressi. Peccato non aver interpellato anche qualche studioso, qualche storico capace di delineare meglio l’operato del futuro papa, soprattutto nel periodo dittatoriale, esaminando anche le accuse che continuano ad alimentare il web. Molto sapremo presto quando (lo annuncia una scritta finale) saranno aperti gli archivi segreti del Vaticano su quel periodo. Sarebbe stato altresì interessante approfondire la tematica relativa al suo rapporto tra Bergoglio e l’ideologia marxista, nonché il suo legame con alcune amicizie profonde con persone come la professoressa Esther Ballestrino fondatrice delle Madres de Plaza de Mayo.
Il film sfiora soltanto queste tematiche. Rimane qualche interrogativo. E’ giustificabile la prudenza che caratterizza l’operato del futuro papa, durante la dittatura militare. Quando, così racconta il film, aiuta tacitamente chi può. Il coraggio poteva essere dannoso. Oggi quell’uomo ha un potere grande e può essere meno esitante. Lo sta dimostrando quando interviene per il rinnovamento profondo della chiesa suscitando le ire di alti prelati. Nonché quando parla del “nuovo imperialismo del denaro” che “toglie di mezzo anche il lavoro, che è uno dei mezzi in cui l’uomo esprime la propria dignità”. Ora quelle vesti impalpabili che lo stringevano nel passato possono essere forse abbandonate.

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