Magazine Famiglia
Prima o poi capiterà che Samuele mi chieda conto del mio essere vegetariano. Capiterà in un contesto in cui è naturale avere un papà che non mangia animali, con un bambino che sin dallo svezzamento ha iniziato a mangiare tofu e seitan, con un papà che mette le zanzare in un bicchierino e le butta fuori di casa invece di schiacciarle, con un bambino che avrà sempre ricevuto l'impulso a comprendere e amare la natura piuttosto che a servirsene senza remore.
Capiterà, come è normale che sia, in un contesto particolare. Un contesto che spero gli lasci ampia libertà di scelta, mi adopero ogni giorno per questo.
Capiterà e capiterà di dover sostenere, corroborare, argomentare in modo serio la mia posizione. Capiterà di dover rispondere alle critiche (di norma i non vegeriani rompipalle per prima cosa ti dicono: "Ma allora le piante? Non soffrono le piante?").
A tutto si può rispondere e tutto si può argomentare.
Però...
Però mi rendo conto di quante seghe mentali ci si facciano pur di trovare risposte incontrovertibili a un presunto o presumibile diritto della natura. Ho presente il lavoro speculativo - tanto per fare un esempio - di Helmut Heid, professorone tedesco di pedagogia (uno importante) con un background filosofico incline alla perenne sega mentale. Per carità, tutto il rispetto per le speculazioni e lo spaccare il capello in quattordicimila.
Però...
Però quando leggo le sue speculazioni sulla natura mi viene proprio da pensare che un qualunquismo d'annata alla Tonino Carotone ("Meno ostie e più trobate") potrebbe essere la chiosa decisiva per interrompere la lettura. Ho trovato anche su Google Libri un contributo in chiaro che può essere interesante. Lascio la lettura a chi vuole.
Ma sarà davvero così complicato spiegare a mio figlio perché amo la vita? Ma mai qualche vegetariano nel cosmo avrà maturato le proprie convinzioni sulla base della speculazione? Ma non è tutto inutile?
Certo, per carità, le argomentazioni a sostegno di una scelta sono necessarie, sempre. Però ci vuole tanto a spiegare che chi ama la vita degli altri esseri viventi lo fa per umiltà? Lo fa perché ritiene di non essere il doge assoluto?
Per carità, mi capita di citare quello straordinario personaggio che fu il Kroeber (l'intera famiglia è straordinaria se si pensa che la figlia è Ursula le Guin e che la moglie Theodora non fu meno importante) che ebbe a ricordare una cosa molto semplice e lineare: l'uomo è superiore agli altri animali, non lo è per ciò che possiede (mano, corteccia cerebrale ecc.) ma per ciò che queste cose rendono possibile. Una delle cose possibili è la coscienza, il senso morale. La superiorità come la esercito però? Faccio i cavoli miei e dispongo degli animali a piacimento oppure ne traggo un senso di responsabilità e mi adopero per loro?
Capita di citare il lavoro sistematico e ben argomentato di Luisella Battaglia così come di quei teologi che considerano le violenze sugli animali violenze irreparabili (perché gli animali non hanno un'anima e non possono trovare la salvezza eterna).
Però sono convinto che, pur senza scadere in un semplicismo stupidotto, si possa fare un passo indietro. Forse pretendendo meno dalla filosofia e puntando di più sull'empatia.
Chissà, forse fra me e mio figlio ci sarà un confronto serrato e iperspeculativo, credo però che dare il giusto valore all'empatia sia non solo pedagogicamente necessario ma che costituisca anche un viaggio straordinario nelle cose che ci circondano.
Quando troviamo una farfalla, una formica, un'ape, ci mettiamo a parlare: "Che cosa mangerà stasera? Che cosa guarderà alla tv? Ma dove sarà la sua mamma?". Fuori da ogni tentativo di umanizzare anche i microbi, credo che sia uno straordinario punto di vista, straordinario nel vero senso del termine: non convenzionale. Cogliere un animale nel suo "sentire" è un qualcosa che può scardinare anche la più dotta delle argomentazioni.
Alla faccia dei pippaioli.
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