Inauguro con questo minuto post una serie di riflessioni sui temi più disparati, ricordando che alcuni di essi sono atavici e non avranno forse soluzione, ma altri sono stringenti e devono essere affrontati con il senso civico e il rispetto delle istituzioni, due sentimenti — parrebbe — in estinzione.
Parto dalla scuola, perché essa è stata, per le generazioni di tutti i tempi, un punto di riferimento per la crescita culturale e sociale dei ragazzi, ma ora è relegata a un “contorno”, a un obbligo da assolvere come era per il militare, ma senza sbocchi professionali.
Henry Brougham ha detto: “La cultura rende un popolo facile da guidare, ma difficile da trascinare; facile da governare, ma impossibile a ridursi in schiavitù”.
Sarà per gli effetti collaterali della cultura che il nostro governo ha deciso di mettere in ginocchio la scuola?
Addio grembiulini e fiocchetti rossi, che sfilavano per cinque anni di fronte alla stessa maestra, che invecchiava sui banchi acquisendo ogni anno un po’ di dimestichezza in più con le nuove generazioni che le passavano davanti; addio scuole dalle stanze colorate e il tavolo a due posti; addio abachi, cartoncini colorati e laboratori; addio dialogo fra insegnanti e famiglie su cosa fosse meglio per i figli; addio corsi di teatro e recitazione pomeridiani; addio al giornale scolastico e alle iniziative degli docenti per strappare i ragazzi alla TV e al PC.
Con la scuola si spegne il senso critico, la costruzione di una forma mentis per i ragazzi, la possibilità di aprire gli occhi prima che la vita lo imponga loro, perché recita un detto salentino: “quandu nu ssai è comu quandu ca nu bbidi” (quando non sai è come quando non vedi).
Resta poco di quell’istituzione scolastica di un tempo, come dei ricordi quando la vita vissuta diventa più lunga di quella a venire e quando l’entusiasmo viene meno di fronte alle difficoltà.
COMMENTI (1)
Inviato il 06 ottobre a 14:28
basta la foto in bianco e nero per fare tornare alla mente la scuola che ora non esiste più