2010: The Extra Man di Shari Springer Berman e Robert Pulcini
Le carte c’erano tutte per realizzare un prodotto notevole e apprezzabile.
Un ottimo romanzo alle spalle (Io e Henry di Jonathan Ames), un’ambientazione interessante e non inusuale nel cinema hollywoodiano (siamo nell’Upper West Side, la zona di New York famosa perché abitata soprattutto da chi lavora in ambito culturale ed artistico, spesso squattrinato e scroccone), la presenza di tre formidabili attori uno più bravo dell’altro, una confezione di lusso particolarmente curata, uno script intelligente e arguto… Ma il risultato finale non può non definirsi deludente e allo spettatore non resta che rammaricarsi per l’occasione sprecata.
Regia e sceneggiatura non riescono a padroneggiare il materiale a disposizione e danno l’impressione di non saper bene cosa fare… Un perfetto gentiluomo a volte sembra voler irridere a una certa classe sociale tutta orpelli e con poca sostanza, a volte l’intenzione parrebbe voler esprimere sia le inquietudini tipicamente giovanili in crisi d’identità che la decadenza morale di chi ha visto crollare tutte le proprie speranze e illusioni, a volte l’accento è posto sull’incontro-scontro tra personalità e mentalità diverse (anziano-giovane, scettico-ingenuo, reazionario-liberale…), a volte il tutto sembra un omaggio alla gloriosa commedia sofisticata anni 30 riprodotta in maniera surreale… Il film appare così composto da varie parti che non si amalgamano tra loro, ognuna distraendo dall’altra. I numerosi personaggi di contorno (che dovrebbero avere il compito di meglio delineare le caratteristiche dei protagonisti) vivono per proprio conto e paiono un riempitivo accessorio e ininfluente. Il ritmo non è sostenuto come necessario, ironia e humour appaiono solo a tratti.
L’edizione italiana peggiora ulteriormente le cose. Un doppiaggio sbagliato trasforma situazioni paradossali e personaggi stravaganti in un mix di falso e inverosimile, mix non presente nell’edizione originale (1).
note
(1) Questa è una delle possibili spiegazioni della differenza tra le accoglienze estremamente positive riservate al film dalla critica statunitense e quelle piuttosto tiepide della critica italiana (“…da un romanzo amato non esce sempre un buon film” Il Fatto quotidiano, “Malinconia e amarezza diventano maniera. Peccato”, Ciak).
premi e riconoscimenti