Era uno di quei giorni in cui avevo deciso di importunati con chissà quali tediosi discorsi. Chissà cosa ti dovevo aver chiesto per sentirmi rispondere: “Non so se c’è alcunché di là, ma se c’è spero si possa camminare scalzi come nel giardino di casa”. Avevamo le gambe immerse nel fiume e tuttavia fuori di quel tanto da non provare quello spiacevole brivido freddo alle cosiddette. Guardavo l’acqua, pensavo a quello che mi avevi detto e si, mi sembrava proprio una bella risposta. Avrei voluto ribattere qualcosa, dimostrarmi parimenti arguto, ma dalla mia bocca non uscì nulla. E così continuai a guardare l’acqua che inesorabile scorreva verso il mare.
Prima c’è l’incredulità, poi un senso di disagio che ti rende il tutto poco credibile. Quindi il dolore si fa largo nel vuoto e infine ecco la rassegnazione. Solo la rassegnazione rende nitido il pensiero. E ora che sono ormai rassegnato all’idea che davvero tutto è successo, non mi rimane che pensare a come fossi un pezzo unico, un esperimento umano assolutamente irripetibile e per questo ancor più pregiato. Bizzarro, sensibile, fantasioso, intelligente e mai eccessivo. A volte ci facevi un po’ girare i coglioni, ma tant’è. Domenica un altro dei tuoi migliori amici mi ha detto: mi fosse arrivata questa chiamata qualche anno fa, avrei pensato ad uno dei suoi scherzi idioti. E’ vero. Il migliore antidoto ch’io abbia mai conosciuto alla banalità e al conformismo degli anni che abbiamo vissuto assieme.
Mi auguro tu abbia trovato quel prato dall’erba delicata come quella del giardino di casa. Spero anche ci sia un fiume nei paraggi. Ecco, questo avrei potuto dire allora, quando l’acqua fredda mi minacciava le cosiddette e gelava i pensieri. Un bel fiume come quello che ti ha sempre accompagnato di qua. Qualunque sia il suo nome, il suo odore, di qualunque forma e sapore siano i pesci che lo abitano, tu fallo scorrere all’incontrario, verso monte. Così.
Non è impossibile, è solamente una cosa bizzarra, da pezzi unici. Come te.