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Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza – avrebbe fatto meglio a tubare

Creato il 28 febbraio 2015 da Thefreak @TheFreak_ITA

“No-no-no-no-no”, questa la sillaba che mi risuonava nella testa, al termine dell’ultima opera scritta e sceneggiata da Roy Andersson, nientemeno che Leone d’oro a Venezia 2014, appena uscita nelle sale italiane.

Di cosa parliamo: 39 piani sequenza, girati principalmente in tristi interni di micromondi piccolo-borghesi, con camera fissa; un continuo tentativo di rimpallo tra tragedia e farsa, situazioni surreali forzatissime, frasi che si ripetono a voler generare l’effetto tormentone senza riuscirci, personaggi che ben rappresentano cosa vuol dire morire non un po’ ma davvero troppo per poter vivere.

Perché tutto questo? Ovviamente per farci riflettere sull’esistenza, ovviamente per farlo in modo originale, e così eccoci a seguire, ad esempio, le sorti di due venditori tristi di gadget carnevaleschi, nei loro patetici tentativi di piazzare qualche prodotto, o incassarne il dovuto (… che siano simbolo forse dell’incoerenza tra essere e fare? Come quei medici che fumano 40 sigarette al giorno? Come quei magistrati che delinquono, o quegli psicologi che dovrebbero stare ricoverati in una clinica psichiatrica?).

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Si dirà: è chiaramente un film sperimentale! D’accordo, ma io credo che il cinema più coraggioso e avanguardista abbia il dovere di essere anche, almeno un po’, intrattenimento. Già: intrattenimento! Una parola che magari sulle bocche di molti suona vagamente squalificante, e che io credo invece sia uno degli ingredienti con cui, nella giusta misura, si eleva un film al rango di capolavoro.

Roy Andersson non se ne cura, esaspera invece le sue pretese surrealiste, instillando nel sottoscritto un desiderio mai avuto prima con tanta potenza: lasciare la sala prima della fine, e, chissà, se non mi fossi impegnato a scrivere un pezzo per The Freak magari sarebbe stata la volta buona.

Che tutta questa mia insofferenza abbia a che fare con l’odio nutrito nei confronti dei piccioni? Chi mi conosce sa che non li ho mai potuti sopportare, potessi andrei in giro per Roma col lanciafiamme per incenerirne un po’. Quindi forse il titolo, e la prima scena del film, in cui appunto vediamo un pennuto, potrebbe aver generato quello che gli psicologi chiamano effetto priorità, gettando un alone negativo sul tutta la visione. O forse è semplicemente l’associazione non voluta, ma inevitabile, con Povia ad avermi infastidito.

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Resta l’impressione di aver visto un film brutto, sgraziato, vuoto; un esercizio di stile buono per ipnotizzare una nicchia assai ristretta di pubblico, quanto a me, per riprendermi, appena rientrato a casa mi sono sparato, per l’ennesima volta, due episodi di True Detective.

A cura di ADRIANO.


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