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Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza - Roy Andersson (2014)

Creato il 25 febbraio 2015 da Lakehurst
(En duva satt på en gren och funderade på tillvaron)
Visto al cinema.
Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza - Roy Andersson (2014)
All'inizio del film compare un cartello che avverte che questo è il terzo capitolo di una trilogia sugli esseri umani; immagino quindi che "Canzoni dal secondo piano" e "You, the linving" (che non ho visto).
Come i precedenti (anzi, il precedente che ho visto) questo film si compone di una trama rarefatta; alcuni personaggi fissi che tornano spesso vivono situazioni assurde divisi in scene autoconclusive (manca una vera e propria trama; volendola a tutti i costi cercare i due personaggi più presenti sono due venditori di scherzi di carnevale che cercano di sopravvivere in un mercato piuttosto fermo).
Dietro la macchina da presa Andersson rimane sé stesso; inquadrature ferme, scene con punti di fuga e linee oblique, colori desaturati clamorosi, una costruzione degli arredamenti perfetta e un uso degli attori come se fossero pezzi di arredamento anch'essi (con corpi spesso disfatti e volti... sempre disfatti). Di fatto una costruzione a tableau vivant che si susseguono creando un mood comune con scene blandamente collegate fra loro. Direi che l'obiettivo ultimo si può intuire, ma non è fondamentale, anche perché gli elementi sono diversi (la morte, di cui tutto il film è il terzo capitolo i cui due precedenti sono brevissime scene iniziali; l'incomunicabilità, con telefonate sempre uguali in cui n on viene detto nulla o segreterie telefoniche mai ascoltate; la solitudine).
Quello che viene sempre esposto è un senso dell'attesa di qualcosa di grande, un mood tragico anche se non avviene niente e un'ironia amarissima (ho sentito molti ridere apertamente durante la proiezione!).
Quello che però ha di diverso è  che qui compaiono molte scene in esterni, esteticamente sempre impeccabile, anzi pure più curate (e percettibilmente false) che non gli interni; inoltre qualche picco dell'assurdo buono (l'incursione di Carlo XII in marcia verso Mosca in un bar di periferia o l'episodio nel 1943 con la proprietaria del bar che offre grappa in cambio di baci cantando), ma che non competono con quelle di "Canzoni dal secondo piano"; ma soprattutto non ci sono impennate di poesia come nel primo capitolo della trilogia (basterebbe il canto nell'autobus o l'incredibile finale). Altra importante differenza è che qui non c'è un senso apocalittico come nel precedente, ma un'amarezza anche maggiore.
Inoltre qui ci sono alcuni punti che dall'assurdo si passa alla esagerazione poco efficace.
Di fatto è comunque un evento incredibile vedere un film di Andersson al cinema e permette a chi non lo conosce di entrare in contatto con un regista a sé (e nel 90% dei casi di odiarlo per i tempi dilatati e la trama, eufemisticamente, rarefatta), per chi già lo conosce è un piacere sentire altra gente che ne ride... in una sala cinematografica.
PS: la scena iniziale nel museo di storia naturale, senza dire nulla e senza che succeda nulla (anzi, proprio per questo) già dice tutto del film e dello stile di Andersson.

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