Un piccolo male (seconda parte)

Da Violentafiducia0

Sopra i capelli ho una cuffietta, allacciata sotto il mento duramente con una cinghia di lattice. Sopra la cuffietta un tecnico applica sei elettrodi in grado di registrare l’attività di ogni regione dell’emisfero cerebrale. Sotto i capelli non ho molti pensieri, ho pochi sentimenti, un po’ di paura, la speranza. Il primo pensiero è chissà quanto devo sembrare ridicola con questa cuffietta, io che non porto mai nemmeno cappelli. Sembrerò ridicola a questo ragazzo che mi sistema i fili attorno, mi chiede di togliere gli occhiali, mi sorride. Questo ragazzo che è sicuramente più giovane di me e lavora in ospedale e ha il volto sereno e indifferente come la maggior parte di quelli che ho visto lavorare in ospedale. Mi dice che posso sdraiarmi, esce dalla stanza chiudendo la porta. Si posiziona nella stanza accanto, separata dalla mia da un vetro. Mi sembra di essere in una radio, aspetto che una luce sul muro mi dica che siamo in onda.

Apra gli occhi.
Chiuda gli occhi.
Cosa si vede sullo schermo quando gli occhi vedono, cosa si vede fuori quando si vede dentro?
Si rilassi, provi a dormire.

Cosa si vede se penso al sesso? Cosa si vede se mi agito, se mi distraggo, se mi emoziono? Cosa si vede se mi lascio andare? Se penso a un panino al prosciutto, se penso a quando sarò finalmente a casa, se mi viene da piangere, se faccio le liste per cercare di addormentarmi in uno stanzino d’ospedale, senza potere aprire la bocca, coi segni sulle guance e le scarpe ai piedi, cosa succede se mi innervosisco, cosa si vede da fuori, se mi viene di urlare?

Non sento niente. Non sento nemmeno una volta la corsa inarrestabile degli impulsi, le code spermatiche degli insetti che sotto i capelli schizzano alla velocità della luce e trasformano in scariche luminose e violente ottundimenti e desideri, allucinazioni e mancamenti. Non sento nemmeno una volta la coscienza staccarsi né vibrare involontaria verso il vuoto. Non sento le mani tremare, i polsi mancare, le caviglie cedere. Sono bravissima, non sento niente.

Cosa si vede da fuori se mi vengono alla mente immagini che non so spiegare? La faccia di un cantante che sprofonda gigantesca in un abisso, due bambini davanti a un albero nero che brucia nel vento, cosa diventano? Cosa diventa questo sonno che mi violenta senza addormentarmi?

Mi tengo le domande finché non entra il tecnico, mi piazza davanti una luce intermittente e penso ecco, adesso succederà. E invece la luce mi sfila ripetutamente davanti la retina come il riflesso del sole sul finestrino di un treno in corsa, veloce, sempre più veloce e io sostengo l’offesa, l’immoralità del ricatto perpetrato a danno del cervello – o tu o io – mi riempio di forza di volontà e combatto e nemmeno stavolta succede niente. Sono bravissima, non succede niente. Ricompongo in tempi tutto sommato brevi figure astratte su cubi rossi e bianchi. Mi sento in prova come un bambino dislessico davanti a una fiaba, una fiaba qualsiasi che vorrebbe significare qualcosa e invece non significa niente.

Niente. Sono assenze talmente lievi che non me ne accorgo. Cinque in un’ora di tracciato. Cose che non so controllare, che non posso prevedere, che non posso combattere da sola, che ho dentro. Il medico mi spiega tutto, mi dà una cura, mi mette in guardia sugli effetti collaterali del farmaco e le possibili complicazioni, strascina la esse, ha gli occhi piccoli, le spalle strette, le labbra sottili, ripete la diagnosi, penso che dovrebbe andare da un logopedista, che non ho più voglia di sentirlo, che voglio tornare a casa, che devo fare le analisi prima di cominciare la cura e ripeterle dopo un mese, che non mi va di fare le impegnative, le esenzioni, le file, che farò tutto, che lascerò perdere, che devo recuperare il sonno perso, che voglio un Crispy McBacon con la Coca Cola.

Quando torno a casa sono triste, mi metto a letto e sogno il medico, ci baciamo a lungo e quando mi sveglio è già notte.


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