La risposta dev’essere là fuori da qualche parte, oltre la fila di alberi che separa il giardino della scuola primaria dal settore a uso della scuola materna. In questo mattino, con l’autunno agli albori e le foglie che già cadono, non c’è nulla che trattenga l’attenzione di Livia lì dentro, tra banchi occupati da bambini sconosciuti e quelle nuove maestre che parlano di cose che lei già conosce. Livia è una bambina di mezzo, nel senso che è nata troppo tardi per l’anno prima e troppo presto per l’anno dopo, una collocazione temporale che non vorrebbe dire nulla se non si prendessero come riferimento solo i mesi centrali per convenzioni anagrafiche e quindi ci si deve adattare. La differenza talvolta però si vede: quelli nati a gennaio sono o troppo grandi o troppo piccoli rispetto agli altri, a quell’età.
Per lei è stato deciso di iniziare un anno prima la scuola primaria, i genitori hanno compiuto una scelta oculata soppesando in due colonne affiancate i pro e i contro. Se Livia ora è lì che guarda nella direzione dell’edificio a cui è stata strappata un anno scolastico prima del dovuto significa che sono prevalsi i pro, il che non significa necessariamente però che la scelta sia giusta. Di là, oltre quella fila di alberi, da qualche parte c’è il gruppetto di compagne con cui trascorreva le giornate fino a pochi mesi prima, ed è curiosa la sua ex scuola vista da dove si trova ora, da quel punto di osservazione che non aveva mai pensato potesse esistere.
La risposta però non deve essere fuori, è dentro di me, probabilmente pensa Livia, se una delle compagne le fa notare in modo molto spiritoso che la maestra sta leggendo una storia e che occorre ascoltare. Ma il mistero delle amiche che ha lasciato di là – è stata l’unica anticipataria – e di quella prospettiva inimmaginabile prima non le torna, Livia sa che lo deve risolvere in qualche modo. Ne approfitta così durante l’intervallo, dopo la mensa, da sola si reca sotto quegli alberi, sul tappeto di foglie di ogni colore, dove però scopre che c’è anche una ringhiera che separa i due giardini, prima da dentro non ci aveva fatto caso. L’avventura finisce lì.
Fortunatamente è intervallo anche alla scuola materna, così Livia riesce ad attirare l’attenzione delle sue ex compagne che corrono da lei, ma giocare separati in quel modo non si può. Se ne accorgono tutte, c’è qualcosa di innaturale, c’è un gruppo che ha dovuto rinunciare a una parte di sé ma che ha già rimarginato la ferita, c’è una bambina che ora, per chissà quale motivo, è più grande. Scambiano qualche battuta come i bambini di cinque e sei anni possono fare, quindi il gruppetto compatto torna con i propri pari. Livia sta per rientrare nella sua classe ma decide di perdersi nei suoi pensieri, come spesso le accade quando si distrae mentre cammina da qualcosa che vede. Si ferma e fissa le foglie, poi guarda su a valutare quante ne cadranno quel giorno, saltella un po’ sulle radici, sfiora le cortecce. Stringe a sé tutto quello che ricorda di come era la vita prima, direbbe un adulto, magari suo padre.
Dentro, nell’aula, una delle maestre segue alla finestra quella bambina che sa già un sacco di cose malgrado sia lì un anno prima del dovuto, conosce nomi di animali e di alberi di tutti gli ambienti naturali. Così, in forma di battuta, mette in allarme la collega che ha coinvolto come spettatrice, dicendole di essere preoccupata: Livia starà sicuramente riflettendo su quelle piante o sulle stranezze del mondo vegetale, occorre tenersi pronte a una domanda molto specifica alla quale sarà difficile rispondere, nemmeno guardando fuori.