Con la calma dei giorni di vacanza ripesco e commento un fatto di cronaca sul quale vorrei dire la mia.
Caterina Simonsen, giovane studentessa di veterinaria affetta da quattro malattie genetiche, ha pubblicato sul suo profilo Facebook una foto che la ritrae con quella che sembra una maschera per l’ossigeno e un cartello-messaggio nel quale si dichiara favorevole alla sperimentazione animale.
Come prevedibile, Caterina ha ricevuto in risposta – oltre a tanta solidarietà – anche accuse e gravi minacce. Dico «prevedibile» perché era chiaro che un messaggio di questo tipo avrebbe portato anche risposte violente: il tema della sperimentazione animale è scottante, da qualsiasi lato lo si guardi.
Personalmente solidarizzo con Caterina per quanto riguarda le minacce e le accuse che ha ricevuto: sono assolutamente inqualificabili.
C’è però una cosa che vorrei dirle, dal basso della mia ignoranza in materia. Un topo (ma anche un cane, o un gatto, o un qualsiasi altro animale) ha una fisiologia diversa da quella dell’uomo, e non è detto che una molecola possa funzionare allo stesso modo su due organismi di tipo diverso.
I metodi alternativi stanno facendo grandissimi passi in avanti, cara Caterina: figurati che in alcuni ambiti (mi riferisco alla sperimentazione di nuove molecole per particolari prodotti) la sperimentazione animale è ormai abolita per legge. Tutte queste cose dovresti saperle: sei una studentessa di medicina veterinaria, non una persona qualsiasi.
Se proprio volevi esporti e se davvero ami tanto gli animali (come hai affermato), perché non hai fatto un bel cartello che spiegasse come stanno realmente le cose? Che la sperimentazione animale potrà cessare soltanto finanziando adeguatamente lo sviluppo dei metodi alternativi?
Un’ultima cosa, cara Caterina.
Sarà che ogni tanto mi ritrovo a fare i conti con il mio essere schiva e con un certo blocco quando devo palare di me, ma trovo che in ogni cosa ci voglia un pochino di misura. Pubblicare una foto del genere – così come l’ho vista e vissuta io – significa mettere in piazza una situazione estremamente personale in modo brutale e anche un po’ violento. E forse è la violenza del tuo messaggio ad aver originato, a sua volta, violenza e rabbia.
Nella vita a volte funziona così.