di Saverio Bafaro
Maurizio Alberto Molinari (dal blog “Vetrina delle emozioni”)
Un poeta milanese, Maurizio Alberto Molinari
1. Chi è Maurizio Alberto Molinari durante questa fase della sua vita?
Credo che oltrepassare la soglia del mezzo secolo rappresenti sempre un punto focale nella vita di chiunque. Ricominciare a contare gli anni nell’ipotetico negative split porta il pensiero e il tempo a un’altra dimensione, verso uno spazio che apre al primo consuntivo della propria vita. Costruire “i bilanci” è un’attività sempre molto complessa, sia dal punto di vista professionale che da quello personale.
Per quanto riguarda l’ambito professionale, ci troviamo in un periodo complicato in cui la programmazione latita, molto spesso a causa della carenza di investimenti. Lavorare all’interno di un’agenzia di Strategic & Packaging Design riesce tuttavia a regalare dei momenti di piacere, sia nel rapporto con il cliente (nella mia qualità di account executive), sia nel condividere le scelte quotidiane con il Team Creativo. Avere l’opportunità di vedere crescere, giorno dopo giorno, idee, strategie e concetti destinati a essere presenti sul mercato nel giro di pochi mesi rappresenta sempre una grande emozione. Nel mio caso mi può succedere di lavorare anche sulla parte copy (redazione testi, ideazione pay-offs, naming) ed è francamente la parte più gradevole di questa professione.
Dal punto di vista personale, continuo a percorrere con entusiasmo le strade che mi portano verso la poesia, la fotografia, la letteratura e l’arte in generale. Sono molto sensibile agli stimoli che ricevo dalle mie letture e da tutto quello che mi circonda, non mi stanco mai di essere curioso e sono da sempre innamorato dei viaggi e del mondo intero. Scrivere è poi sempre come cominciare un nuovo viaggio, sempre diverso dal precedente, una strada che porta con se nuovi profumi, nuovi profili, nuovi stimoli insomma. È proprio in questo bisogno di sentire la vita che si manifesta la mia sete di novità, di ibridazione, di sperimentazione.
2. Ci sono dei punti di contatto tra la tua professione in campo pubblicitario e la tua attività di poeta?
In genere la risposta sarebbe no, ma sono stato molto fortunato e mi è capitato, di recente, di avere a disposizione la scrittura poetica durante lo svolgimento della mia professione. L’eccezione risale al Natale 2012, occasione in cui all’interno di una confezione natalizia di un noto liquore di limoni il Cliente scelse un progetto creativo che riportava sul lato dell’astuccio una poesia di Montale (“I limoni”) che, per motivi di convenienza, fu sostituita da una mia creazione, intitolata “L’accento dei limoni”. La confezione fu stampata in circa 600.000 pezzi e conservo con cura la raffinata (nel senso del design) e la preziosa (per me) testimonianza. Il testo si sviluppava mediante 3 terzine e 3 quartine in verso libero e trattava temi come l’italianità, il calore, la natura, l’amore e recitava così: “Ancora giorno / ancora sole / sui frutti del giallo. / Ancora verde / ancora sapore / tra le foglie / del mio tempo mediterraneo. / Ancora acqua / ancora sete / nell’estate di maturazione. / Ancora Italia / ancora amore / sulle sponde / della pazienza del calendario. / Ancora frutti / ancora foglie / sui nostri alberi eterni. / Ancora baci / ancora gioia / nelle gocce autentiche / del puro accento di limoni”.
3. Entriamo più in merito alla poesia, iniziando da un tuo testo dal titolo “Poemantikha Nova – La poesia si racconta…” (Aletti, 2010). In quel libro alterni parti narrative a versi. Quale effetto volevi raggiungere o quale eventuale messaggio?
Per prima cosa dobbiamo precisare che si tratta di una riedizione della versione originale “Poemantikha – sulle tracce delle emozioni”, edita nel 2005 da Firenze Libri, nata da una mia riflessione sull’interpretazione dei testi poetici fatta dai critici, che spesso nulla sanno di quanto prodotto dall’autore, in termini di emozioni e di scaturigine. La versione originale nasceva con 13 poesie e 13 tracce; quella riedita, a cui tu fai riferimento, è stata ampliata a 16 poesie e 16 tracce. L’idea iniziale è rimasta la medesima, ma cresciuta (nelle poesie e nelle tracce), rivista e rielaborata nella parte di prosa poetica e narrativa. Il percorso di Poemantikha Nova nasce dunque in una simbiosi poetica all’interno della quale ho proposto delle estensioni (tracce) attraverso le quali le poesie producevano delle integrazioni che, di volta in volta, erano “estese” come note di natura filosofica o di pensiero poetico, o come dei mini racconti (short and not so short), in cui le tematiche delle poesie si trasformavano in “altro”.
È all’interno di questa architettura che “Pomeriggio d’altri tempi” tratta il tempo della delusione verso la vita e del rapporto con la natura nell’ambito quotidiano, “Leo & Ghiaccio” introduce il tema dei diversamente abili, “Buon Natale Bimbirilli” narra una fiaba per adulti sulla fame nel mondo, con riferimento esplicito ai bambini che muoiono di fame e di sete ogni giorno, “Mr. Mister” traduce il dolore e l’infermità in un finale atto di fede… Posso certamente affermare che questo volume, personalmente, rimane un angolo prezioso dentro la mia costruzione di uomo e di aspirante scrittore.
4. L’anno successivo ‘LietoColle’ pubblica la silloge “New Yorker’s Breaths”, letteralmente ‘I respiri dei newyorkesi’ in cui, contiguamente ai versi, usando il bianco e nero, ci sono delle tue fotografie lavorate al computer. Ci spieghi meglio da dove nasce questa tua passione fotografica?
La passione per la fotografia è più recente (ma non poi tanto) perché nasce con la mia voglia di “vedere” distante, di “viaggiare” senza il freno del tempo. Fermare emozioni in immagini credo sia un’arte altrettanto raffinata, ritrarre un evento, un personaggio, un atto di vita equivale a rendere eterno quell’istante che contiene, sovente, un elevato spessore di poesia e di sensibilità. Mi è capitato di visitare mostre fotografiche che mi hanno lasciato un tale livello di tensione da uscirne svuotato…
Per tornare invece al mio “New Yorker’s Breaths”, è la sintesi del respiro che ogni persona, incontrando questa metropoli, riesce a emettere e condividere, come se fosse un cittadino di New York, anche solo per un giorno. Quale migliore occasione per far convivere questo personalissimo dualismo tra poesia e immagini? Quale migliore opportunità per trasformare un libro in un racconto polifonico-visivo in cui i temi trattati contenessero il senso quotidiano, il dolore, l’abbandono, la tragedia dell’11 settembre, il vuoto dell’homeless, il fuoco vivo delle luci e della vita notturna? Happyness and Sorrow?
5. I tuoi testi poetici sono snelli, metricamente prediligi il verso corto e denso e, direi, con uno spiccato gusto per la “referenzialità”, per ‘la cosa lì davanti’. C’entra in questo la fotografia?
Io nasco e vivo nel segno dell’ermetismo. Da sempre nutro una passione per la poetica di Ungaretti e Montale ma, tuttavia, non mi sono mai negato nessun genere di poesia, italiana e straniera. È nella contaminazione e nell’evoluzione che vive il senso della mia poesia. Quello che scrissi trent’anni fa non è certo ciò che ho scritto un anno fa, e non sarà nemmeno quello che scriverò domani. Prova a pensare a un’immagine fotografica potente e ad un verso ermetico: credo tu riuscirai a trovare più estensioni-sintonie che in qualsiasi altro rapporto ambivalente. Forse solo nella pittura si riesce a ottenere lo stesso spessore simbiotico. Sia nella poesia sia nella fotografia la costruzione è “densa”, a volte essenziale, non necessariamente snella, e, se ben costruita, anche molto musicale. Ciò che deve sopravvivere, in queste due arti, è la capacità di emozionare e di raccontare, di trasformare una parola o un simbolo in un capitolo da ritrasmettere mediante ogni forma di comunicazione; il gusto di dilatare l’arte verso la socialità, di veicolare il proprio essere in un percorso di evoluzione positivo, in qualsiasi ambito essa decida di depositarsi.
6. Veniamo alla tua ultima pubblicazione: “Inversi Panici (Foglie del terzo millennio)”, edito dalla casa editrice milanese ‘La Vita Felice’ in cui, nuovamente, troviamo immagini da te prodotte sulle quali si sovrappongono parole, questa volta, anche in inglese. Se hai lavorato a stretto contatto con la traduttrice (Lucia Gazzino), quali differenze linguistiche hai notato tra le due versioni riportate nel tuo libro?
“Inversi Panici” è una raccolta molto diversa nel percorso e nella costruzione, rispetto a “New Yorker’s Breaths”. Per prima cosa, le immagini all’interno di “Inversi Panici” diventano Poesie Visive senza alcun tipo di artificio, sono autentici scatti fotografici che vivono in perfetta simbiosi e dualismo con le poesie testuali, attraverso una sintesi ermetica inserita in una delle tre lingue che mi rapportano al mondo: l’italiano, l’inglese e il francese. I temi principali trattati sono il sociale e la natura che ci circonda, in particolare la natura italiana (le foto sono tutte espressioni del nostro meraviglioso Salento), la simbiosi tra poesia visiva e poesia testuale è, in questo caso, paritetica (in New Yorker’s Breaths forse era leggermente sbilanciata a favore delle immagini), lo spessore del testo riscopre il piacere di un verso più ermetico – con un ritorno al mio vecchio amore – che in certi passaggi si trasforma in una poetica “a frammenti”.
Nel percorso linguistico lo stile ha mantenuto un rigore che non ha perso l’essenza musicale della strofa e del suono. La scelta di affidare il compito di tradurre questa Silloge a Lucia Gazzino, docente di letteratura Inglese e anch’essa poetessa di rilievo che scrive in inglese, italiano e friulano – molto nota tra l’altro per avere tradotto in lingua inglese poesie di Pier Paolo Pasolini dal friuliano – è stato una scoperta e una fortuna allo stesso tempo. Conoscevo e stimavo la poetessa Gazzino, ma ancora di più lo è stato il piacere di avere lavorato con lei in questa traduzione. Le ho affidato il mio lavoro senza avere il timore di ottenere un risultato diverso dall’originale.
Per prima cosa la responsabile della collana di poesia de “La Vita Felice” – Diana Battaggia – ha inviato la bozza del mio lavoro e le ha chiesto di leggerlo e di farle sapere se le sarebbe piaciuto. La risposta è stata affermativa e la sua risposta è stata la prima cosa bella di questa silloge: lo avrebbe tradotto perché le era piaciuto! La nostra collaborazione è cominciata così passando alcune ore al telefono in cui abbiamo parlato di molte cose – non solo del libro – perché serviva conoscersi meglio, ed è stato proprio in quel tempo di condivisione che abbiamo deciso che la traduzione doveva essere in qualche modo libera, e così è stato. Abbiamo lavorato insieme su alcuni “passaggi” in cui lei mi chiedeva specificatamente informazioni sulla mia struttura ermetica, e nel giro di un paio di “bozze” siamo giunti a un risultato che entrambi abbiamo considerato molto buono.
7. A proposito di Milano… Credi, dal tuo punto di vista, ci sia ancora una certa forma di “competizione” o “differenza” o non saprei cosa tra la poesia lì praticata e quella invece romana?
La domanda appare provocatoria e la risposta sarà laconica: no! Né competizione, né differenza. Io credo che la poesia, se ricca di contenuti e sostanza, sia senza origine e senza tempo. Ho diversi amici poeti a Roma e mai ho avuto la percezione di sentirmi in qualche modo “in competizione”, semmai ho sempre avuto la possibilità di scambiare impressioni, opinioni, riflessioni e consigli di lettura. Ho ricordi bellissimi di cene romane che, oltre al cibo, al versificare e al confrontarsi su tutti i temi (senza fare eccezione del contesto politico-sociale), hanno aperto nuove sintonie e simpatie.
Il fatto che qualcuno cerchi di “montare” questa pseudo polemica rispetto al pianeta Poesia (perché di questo si tratta) lo rende riduttivo e volgare per la Poesia stessa. Semmai la riflessione andrebbe indirizzata su altri versanti, come i “laboratori” di poesia che creano, quelli sì, delle correnti… (faccio parte del…, collaboro con…, sono nel gruppo di…) o come i concorsi letterari che ormai determinano, in base al “montepremi”, l’accessibilità o meno alla partecipazione di tutti gli autori che ne avessero voglia e “stomaco”. È certo che per partecipare a concorsi letterari ormai bisogna avere una buona corazza e, soprattutto, una grande capacità di assorbire taluni risultati molti discutibili e prevedibili.
8. Provi risentimento per qualcosa che ti è accaduta?
Provare risentimento non rientra nel mio modo di essere, ma, nel contempo, dispongo di una buona memoria. Non riesco a dimenticare certe situazioni in cui certi accadimenti si sono sviluppati senza la necessaria correttezza e trasparenza, sia in ambito professionale sia in quello “poetico”. In quest’ultimo, in particolare, sono stato testimone di situazioni davvero sgradevoli, in cui famigerati ”organizzatori di contest letterari” hanno speculato alacremente su gente semplice che cercava nella poesia la possibilità di essere messo in evidenza (dietro lauti compensi, di variegate elaborazioni…).
Per quanto mi riguarda la poesia è sacra, è un mezzo attraverso il quale le persone cercano di arrivare a un’essenza più elevata (anche se spesso non riescono nell’impresa), e in quanto tale dovrebbero essere sempre tutelate e mai “usate”. Ogni volta che sento e percepisco queste cose, è come se succedesse a me, è come se un fiume sacro venisse inquinato dai veleni degli umani. Sempre in ambito poetico, potremmo aprire un copioso filone anche sulle “giurie dei concorsi letterari, sui criteri che sanciscono l’appartenenza o meno al ruolo di “giurato”, sui requisiti che dovrebbero essere definiti per fare parte di questa categoria, sulla liceità di certe scelte e di certe preferenze, sull’assoluta mancanza di separazione tra un testo poetico e un testo di prosa poetica. Ogni qualvolta leggo o ascolto un testo che riesce ad emozionarmi, io mi sento un uomo felice, così come mi sento un uomo triste ogni volta in cui la mercificazione monetaria o quella “giurata” prende il sopravvento sulla realtà.
da Wikipedia
9. Ispirato da alcune delle immagini di “Inversi panici” che immortalano il tronco di un magnifico ulivo, mi viene da chiederti: quali sono i tuoi sentimenti rispetto alla Natura e al “panismo”?
La natura è il primo respiro che ci regaliamo al mattino. Ogni giorno noi ci laviamo con l’acqua, ci prepariamo la colazione con il fuoco di un fornello, ci accomodiamo poggiando i piedi per terra, respiriamo aria a pieni polmoni per sentirci vivi. Sapendo che non si risponde a una domanda con un’altra domanda, la tentazione da parte mia è fortissima: quante volte ricordi i gesti quotidiani del tuo risveglio? E quante volte li associ al semplice esistere della natura? L’ulivo non è solo simbolico! L’ulivo è bello, importante, riconduce alla via della pace e della redenzione, è secolare – quasi eterno nella sua nodosità.
Il “panismo” è una percezione (forse un bene…) che dovrebbe accompagnare le giornate di ognuno di noi. La capacità di percepire la fusione e la purezza della natura con l’uomo, la possibilità di vivere ogni giorno l’essenza della sua luce che, di certo, migliorerebbe il fluire del nostro tempo e ci risolleverebbe dalle sue numerose incongruenze. La natura è sempre al centro del nostro mondo. Lo è nei momenti migliori (quelli in cui l’uomo si fonde con essa) così come lo è nei momenti peggiori (quelli in cui l’uomo la vìola e la violenta). Forse dovremmo essere tutti più attenti, dovremmo capire che il nostro domani è un tempo infinitesimale rispetto a quello che è destinato ai nostri eredi, ai nipoti, ai pronipoti; che tempo lasceremo loro, se non vigileremo su di essa? Ogni rogo doloso è sempre un urlo emesso da un ramo che si ripercuote su un tronco, è un tanfo di cenere che puzza troppo di sporco denaro e uomo infame. Proviamo a ricordarcelo più spesso.
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