Magazine Diario personale
"LONDRA. Metà delle biblioteche inglesi rischiano di chiudere a causa dei tagli alla spesa pubblica decisi dal governo di David Cameron. Una petizione firmata da decine di scrittori, tra cui Alan Bennett, Philip Pullman e Zadie Smith, per impedire la chiusura di una storica biblioteca nel quartiere londinese di Brent, aperta da Mark Twain nel 1900, è stata respinta dall'Alta Corte, aprendo la strada a provvedimenti analoghi in tutto il paese".
Sabato ho aperto Repubblica e ho letto questa introduzione di Enrico Franceschini a un lungo ed emozionante intervento di Alan Bennett sulla biblioteca Armley di Leeds.
"Tutto il complesso sembrava esprimere la fiducia della città nei valori della lettura e dell'istruzione, nonché dare un'idea di dove si poteva andare a finire se li si trascurava. La biblioteca di consultazione esprimeva la solidità della città".
E poi racconta dell'atmosfera del luogo, soprattutto come spazio di aggregazione prima ancora che di servizio - benché in effetti possa sembrare un ambiente tanto solitario. E conclude ragionando sulla biblioteca come istanza anche politica ma soprattutto sociale. E io sono molto d'accordo. Oltretutto leggevo l'articolo mentre a Roma si scatenava la violenza spaventosa che abbiamo visto tutti. Ero particolarmente preoccupata, come penso in molti. Qui, come a Londra, non ce la passiamo proprio benissimo, a livello generale.
Quindi ho deciso ieri di prendere il pullman e andare a cercare un'altra biblioteca di Torino, proseguendo così anche nel mio piccolo progetto di visitarle tutte -------> per vedere le altre "puntate" cliccate sul tag "Biblioteche" e vi si apriranno mondi inesplorati. hehe.
Non cercavo però una biblioteca qualunque. Ne cercavo una che, in particolare, contenesse in sé, oltre a molti libri da leggere gratuitamente, anche quel significato culturale che vi attribuisce Bennett nel suo bel pezzo su Repubblica. (l'articolo completo, apparso sulla London Review of Books: qui).
Quindi allora ho preso il pullman e sono andata a Barriera di Milano - un quartiere in certi punti piuttosto "difficile" della città. Per arrivare alla mia destinazione, la Biblioteca Civica Primo Levi, naturalmente mi sono persa: non ve lo consiglio. Vagavo male in ambasce davanti a scuole proprio nell'ora di punta dell'uscita dei ragazzini, che erano stanchi e in alcuni casi molto arrabbiati: sbattevano le mani contro i cartelloni pubblicitari, sputavano per terra di continuo e insultavano le femmine pesantemente. Difficile intendevo in questo senso: povero, prevalentemente povero e per lo più popolato da extracomunitari. Non pensate però solo a un ghetto, dal momento che le iniziative civili di Barriera sono molte e altrettante le associazioni che se ne occupano, oltre alla circoscrizione che mi pare molto attiva nei limiti del possibile.
Comunque, dopo essermi smarrita sotto un sole che a quell'ora, lo giuro, era ancora troppo estivo, ho pensato che in tutti questi anni transitare dal centro al mio quartiere modesto ma tranquillo e viceversa e basta non è stata una grande idea: avrei dovuto esplorare Torino in tutte le sue parti, molto di più, compresi i lati oscuri, compresi gli angoli remoti. Ora infatti sto rimediando e quando capita vado e guardo cosa succede.
A un certo punto è successo che mi sono trovata davanti a un palazzone con la simpatica scritta Lavazza apposta a mo' di insegna, che, per una tazzina di caffè, è sempre una buona cosa. E infine il cartello che indicava la Biblioteca. Forse per il nome, ma me l'aspettavo proprio austera e sobria, e così è stato. L'edificio infatti è un'ex fabbrica che ospita oggi anche altri uffici; ma quello che interessava a me era al secondo piano e sono salita. Durante la settimana e nel week end ci sono molte iniziative, corsi, mostre, presentazioni, letture, laboratori: un programma completo qui. Mentre ieri in quell'istante c'era un gran silenzio e tutti, proprio tutti i tavoli occupati, al punto che ho fatto fatica a trovare un angolo dove mettermi a leggere. Le facce, come immaginavo, appartenevano alle più diverse etnie. Moltissime ragazze col velo, moltissimi neri, moltissimi bianchi che parlavano lingue che non conoscevo, moltissimi gruppi misti di studenti italiani e stranieri insieme. E giustamente anche moltissimi libri.
Ho pensato che non tutti e non in tutti i periodi della vita abbiamo a disposizione una casa dove sia semplice leggere o studiare. Non solo gli spazi fisici, che possono a volte essere in effetti troppo piccoli o assenti, ma anche, per così dire, gli spazi mentali, certe volte, diventano saturi, sovraffollati, pieni di altro di cui occuparci. C'è chi vive costantemente in quella condizione fuori asse, c'è chi lo sperimenta solo in alcuni momenti: per tutti però invece la biblioteca è sempre lì, ad aspettarci.
Ampia, pulita, sicura e libera. Come vorremmo che fossero le nostre case e le nostre menti. La biblioteca è una parte di noi, della nostra vita e della nostra cultura ed è un bene primario. Non vorrei mai che le chiudessero. E quello che posso fare io è andarci spesso, perché credo nelle biblioteche tanto quanto credo nell'innovazione tecnologica legata al libro, all'ebook, all'editoria digitale e a tutti i supporti per fruirne.
E poi, come dice Bennett: "Se perdiamo le biblioteche locali saranno i bambini a soffrirne". Ma io aggiungo anche che saranno gli anziani, gli studenti, i precari, i londinesi, i torinesi, i romani, gli stranieri, i disoccupati, gli impiegati, gli indignati, gli insicuri, i solitari, i timidi, tutti gli altri, i lettori e gli scrittori. In una parola: ne soffriremo tutti, ne soffrirò io e io non voglio soffrire!
Sotto: malinconica strada di periferia torinese.
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