Dunque mille anni fa un popolo lascia l’India settentrionale forse cacciato dagli invasori arabi. Sono gli atsigani, tzigani, gitani, gitans, Zigeuner, zingari.
Attraverso la Persia e la Grecia, arrivano verso il dodicesimo secolo in Europa, non sono violenti conquistatori, ma pacifici immigrati. Conservano la loro lingua, conservano l’amore per la libertà e l’indipendenza.
Girano per il mondo, non si fermano a lungo. Si dedicano a mestieri ambulanti: addestrano animali, fanno i giocolieri, suonano nelle piazze. Portano allegria nei villaggi e nelle città.
L’arrivo degli Zingari in Italia è caratterizzato da alcune importanti ondate migratorie che comportano una presenza storicamente stratificata. Essa ha quindi come risultante una convivenza sul territorio italiano di una popolazione zingara estremamente eterogenea stimata tra i 90 ed i 110.000 individui, diversificata nelle abitudini di vita e nei modi di rapportarsi con la società gagì.
Le prime notizie su gruppi nomadi in Europa si hanno nel 1300. E attorno al 1400 essi sono presenti in tutta l’Europa.
Nell’anno 1422 a Bologna giunsero circa cento persone comandate dal Duca Andrea d’Egitto. Si tratta del primo “avvistamento” intorno al quale esiste una testimonianza scritta, ma sicuramente la presenza di Zingari in Italia è antecedente di almeno 100-150 anni a tale data.
Per tutto il Medio Evo e il Rinascimento fioriscono ipotesi bizzarre e strane leggende sulle origini dei Rom.
Si può supporre una presenza di Zingari già consolidata in Piemonte verso la fine del XV sec.
Non passarono inosservati: la pelle scura, i vestiti sgargianti di foggia orientale li rendevano «diversi» fin dalla prima comparsa in Europa. Per essere accolti si dichiaravano pellegrini, per guadagnarsi da vivere facevano gli indovini, lavoravano il rame e l’argento, addestravano orsi per farli ballare in strada, si esibivano come musicisti ambulanti. E viaggiavano, viaggiavano sempre: per scelta e «vocazione» oppure perché non fu mai permesso loro di fermarsi, perché furono sempre cacciati.
Nell’Ottocento alcuni linguisti cominciarono ad osservare notevoli similitudini tra la lingua zingara e il sanscrito. Basti citare qualche esempio: la parola zingara kalo «nero» deriva dal sanscrito kala, rat «sangue» da rakta, rup «argento» da rupya, bal «capelli» da vala. E si potrebbero trovare molte altre similitudini, anche con dialetti dell’odierna India nord-occidentale e del Pakistan.
Prestiti linguistici, raccolti «per strada» e tuttora presente nel romanes, cioè nella lingua degli zingari, ci permettono di seguire la loro rotta di viaggio: attraverso l’Afghanistan, l’Iran, l’Armenia, la Turchia e la Grecia La storia dei Rom é una storia che non nasce dall’interno della stessa comunità proprio perché essi rappresentano un popolo senza scrittura che affida alla “memoria” e alla tradizione orale il compito di trasmettere la propria storia e la propria cultura.
Comunque sin dal loro arrivo in Europa i Rom sono stati visti dai vari stati come un problema da risolvere mediante l’assimilazione, l’esclusione o l’espulsione. Spesso si dava loro la caccia o erano imprigionati ed uccisi. La storia si è ripetuta nel XX^ sec. quando il regime nazista tento di sterminare gli zingari. In un primo tempo i Rom furono definisti “socialmente devianti” come tali venivano sterilizzati contro la loro volontà e non potevano sposarsi con cittadini tedeschi. Successivamente furono internati in campi di concentramento in apparenza come misura di prevenzione alla criminalità. Si ritiene che circa mezzo milione di loro sono stati uccisi. Scarsissime sono comunque le fonti si cui ci si può basare specialmente per gli internamenti dei Rom in Italia.
Yul Brynner, il calvo tenebroso di Hollywood, era uno zingaro. Così come era una zingara la madre di Rita Hayworth. Sangue zingaro scorreva probabilmente nelle vene del dittatore romeno Ceaucescu, e c’è chi dice che fosse zingaro lo stesso leader socialista spagnolo Felipe Gonzales. Ci sono zingari in ogni ceto sociale.
Zingari, Gitani, Boemi, Egizi. Denominazioni in quantità hanno designato un popolo atipico, da sempre diverso: il popolo degli zingari, che nella loro lingua, il romanes, si chiamano Rom. Tra loro sono presenti una infinità di culti: ci sono zingari cattolici, protestanti, musulmani, ortodossi e di altre religioni. Per necessità o per apertura, questo popolo ha spesso abbracciato i culti delle comunità all’interno delle quali si trovava ad essere minoranza, mantenendo comunque riti religiosi palesemente simili, anche se praticati da musulmani o da cattolici.
Razza inferiore, e magari pericolosa, quella degli zingari. Ladri, sporchi, pigri, inaffidabili, pericolosi. Peggio: tanto diversi da destare curiosità culturali e trasporti tanto solidali quanto caduchi. Individualisti e refrattari alle leggi delle etnie maggioritarie, o, per i più benigni, gente da comprendere, per l’impossibilità culturale di piegarsi a modelli organizzativi sociali incomprensibili.
Una razzaccia. E per di più ignota, ignorata, indecifrabile. Un popolo caduto nella delinquenza dacché i cavalli hanno smesso di essere la principale forza motrice, lasciando disoccupati i mitici maniscalchi Rom; e dacché i bianchi hanno cominciato a sostituire le pentole di rame con quelle d’allumino, piuttosto che affidare quelle rotte al ramaio zingaro.
Se nel mondo varie etnie sono scomparse, lasciando soltanto in qualche caso testimonianze, magari confinate in qualche museo specializzato, i Rom non stanno scomparendo affatto. Anzi, alla ridottissima prolificità dei bianchi, quella zingara è decisamente in controtendenza. La minaccia proviene da altrove. La minaccia mortale per gli Zingari e per la loro cultura proviene oggi, probabilmente, dalle malintese volontà assistenziali e caritative degli angeli della conservazione delle culture in via di estinzione. Le culture e le tradizioni zingare sono state capaci di superare le minacce più tremende: tremende per la loro continuità, perché coniugate a un diffusissimo rifiuto che nei secoli è quasi diventato fisiologico, soprattutto nella società europea. Addebitare questo alla maledizione che si vuole sia piombata sugli zingari per essere stati, alcuni di loro, i fabbri che forgiarono i chiodi che trafissero le mani e i piedi di Cristo, è argomento che non vale probabilmente già da qualche secolo.