Ho 29 anni, lavoro da 7.
Ho abbandonato l’università per cominciare a fare un lavoro che mi piaceva. Lavorare in uno studio di grafica ed editoria. Un buon alibi per lasciare un corso di studi che non mi appassionava e che frustrava continuamente le mie aspettative. Scienze della comunicazione, a Bari. Una seconda scelta, in verità, perché avrei voluto studiare tecnica pubblicitaria a Perugia, ma chi ce l’aveva la forza di lasciare la famiglia, la mia adorata famiglia, a 18 anni. E se l’avessi scelta me ne sarei certamente pentita per aver perso gli ultimi anni di quotidianità e di vita di mio padre. A volte riesci a rispondere ai dubbi che ti affliggono dopo anni, quando smetti di porti domande.
Da più di 5 anni lavoro per un’emittente tv che ho imparato ad amare per forza di cose. E qualche volta ad odiare. Il rapporto con il lavoro non ha nulla di diverso rispetto ad una storia d’amore. Ci sono momenti in cui uno dei due si dà di più rispetto all’altro, altri in cui entrambi sono ugualmente appagati, altri ancora in cui basta guardarsi negli occhi per capire che è finita. Basta trovare il coraggio di guardarsi negli occhi. E’ la parte più difficile.
In altri pensi sia il caso di farsi un amante da cui correre quando il tuo “partner” non ti capisce e non è più disposto a venirti incontro. Ma quando sia il partner che l’amante si chiamano “contratti a progetto” e le firme equivalgono ad accordi prematrimoniali pronti a sancire la separazione dei beni, cominci a capire che forse dell’amore non ci capisci proprio un cazzo e che le speranze non imparano mai abbastanza dall’esperienza.
Perché da piccolo ti insegnano a cercare un posto di lavoro, da grande impari il senso dell’opposto del lavoro.
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