Lo spettacolo della vita è come una grande bocca che fagocita tutto: fatti, eventi, persone, cose. Quello che il sipario, che va dai molari agli incisivi, dischiude quotidianamente non è sempre un bello spettacolo. Anche i fatti più prelibati spesso riservano un retrogusto, là dietro le quinte, non proprio gradevole. A volte si cerca di celare qualche boccone amaro ricorrendo a delle pulizie straordinarie. Un tempo si faceva così. Non che non ci fossero bocche sporche. Gli avanzi, quelli, restavano e restano sempre impigliati tra i processi palatini e le arcate gengivo dentarie. Che discorsi.
Ma prima di una nuova uscita, prima di accogliere nuovi cibi, novi fatti, nuovo pubblico nostrano e straniero ci si dava una bella ripulita. Dentifricio e spazzolino. E giù delle belle strigliate. L’opinione pubblica, a bocca aperta, aspettava di entrare nella bocca, assai più grande, di questo farsesco mondo, confuso e ambiguo, che è quello della commedia della vita. Dove perdersi tra ciò che era vero e ciò che era verosimile. Dove, semmai, doveva credere più ai valori dell’inverosimile che ai disvalori del vero. Troppa realtà non è degli adulti ma dei disgraziati che possono scambiare la loro vita con le bestie. Perché per questi la vita inizia e finisce in un semplice ed elementare meccanicistico materialismo. Come la prima digestione, che si fa in bocca e che tutto involve e tritura. Dalle alte rote fino a quelle inferiori. Incessantemente. Ineluttabilmente.
Il plot della commedia della vita si scatena per effetto di bisogni primordiali che accendono istinti ed emozioni subitanee. Che implorano, strillano, urlano disperatamente di essere soddisfatte. Dentro la bocca del palcoscenico, questo straordinario miscuglio conosce il compiersi del suo destino. Le terminazioni nervose, il numero straordinario di papille gustative sono i microfoni, gli altoparlanti e le luci di scena. Con il compito di realizzare la regia: ora suscitando il piacere, ora la collera, ora una scorticante crassa risata. Ora raggelando gli animi in una luce fredda di un’aerea triste di angoscioso tormento. Tra attori e pubblico non c’è differenza in questo caleidoscopico mondo dentato. Chi si trova sulla lingua può conoscere due destini completamente differenti solo in virtù di una impercettibile diversa posizione. E’ il caos, l’imponderabile destino cui ognuno prova inutilmente ad opporsi. E, pur di cambiarne il seguito, si è disposti a farsi piacere di tutto.
Quello che lo spettacolo consuma diventa metafora della vita di ciascuno. Le bocche di tutti, il microcosmo contro cui ognuno fa i conti. Pane, pene, peni. A ciascuno i suoi sapori.
Un fiume di saliva è lo Stige per tanti. Le bocche troppo vuote sono il vestibolo del cimitero addominale, il ventre di questo Mondo.
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