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Credo sia capitato a molti di aver sentito, praticato o sperimentato il mantra ‘la vita è una lotta’. C’è chi consapevolmente vive questo dogma e fedelmente vi si attiene, da ‘vincitore’ o da ‘perdente’ a seconda dei casi, c’è chi lo manifesta in modo più indiretto attraverso il proprio atteggiamento - le così dette ‘acque chete’. ‘La vita è una lotta’ parte dal presupposto che non c’è abbastanza amore, soldi e di conseguenza (secondo questo sistema di pensiero) felicità per tutti. Occorre digrignare i denti, stringere i pugni e sgomitare per farsi spazio. In alternativa, ci si intrufola zitti zitti, si ‘oliano’ le persone giuste, si piange miseria - l’essenziale è ottenere quello che reputiamo indispensabile (denaro, sesso, affetto, prestigio ecc.)Ho sempre avuto difficoltà calarmi in questi ruoli. Tra l’altro sono le due facce di una stessa medaglia, cioè l’ego umano limitato e limitante che pensa ‘mors tua, vita mea’. Un simile atteggiamento predatorio si osserva anche in altri aggregati umani, siano essi associazioni, partiti o nazioni. Diventano gigantografie dell’ego a livello collettivo e tentano amorevolmente di farsi le scarpe a vicenda. Nel migliore di casi, quando non hanno un atteggiamento dichiaratamente aggressivo, non riescono comunque a collaborare per più di mezz’ora gli uni con gli altri.
Fortunatamente, lungo il mio percorso, ho incontrato anche persone con principi -ma soprattutto con comportamenti- diversi. Sono uomini e donne che condividono, danno e si danno generosamente e ritengono che la conquista di uno possa diventare la conquista di tutti. Tali persone in genere hanno un’alta carica energetica, sia essa vitalità, sia essa profondità di spirito, e tendono ad attrarre, ad esercitare un certo fascino magnetico. Certo, come ogni grande fiume, trascinano con sé anche ‘fango e sassi’, ossia profittatori e pesi morti. Non importa: il bello di queste creature è che continuano a ‘dare’ anche quando loro stessi sono evidentemente più in difficoltà degli altri : difficoltà di salute, familiari o difficoltà economiche. Ciò dimostra la loro reale ricchezza e ‘nobiltà’, laddove coloro che li sfruttano -e che spesso materialmente hanno di più- resteranno miserabili.
Concludo con una citazione eminentemente culturale e spirituale, parafrasando il mio guru Lee Ward Shore: ‘E’ questa l’eredità che vogliamo lasciare ai nostri posteri? Saremo felici di poter dire ai nostri nipoti “Sì, ho combattuto e ho resistito, ho lavorato tutta la vita per avere una pensione mensile così bassa che non posso nemmeno permettermi la carta igienica ultrafine e supermorbida” ? O saremo invece orgogliosi di poter affermare “No, io non ho voluto partecipare alla gara per il successo. Mi sono sdraiata sul divano, ho acceso lo stereo con i Rolling Stones e adesso vivo con una pensione da fame, ma per fortuna non mi serve la carta igienica ultrafine e supermorbida perché non mi sono rovinata l’intestino stressandomi la vita”?’
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