"Dateci tempo: tra dieci mesi si vedranno gli effetti del Jobs Act". Queste la parole del Ministro Poletti, convinto che la strada tracciata del progetto renziano sia quella giusta. Buon per lui, ma è davvero così?
Innanzitutto, non sappiamo nemmeno se il Jobs Act sarà davvero operativo tra 10 mesi: quella di Renzi, infatti, non è nè un disegno di legge, nè un decreto, ma una legge delega, ovvero un invito al Parlamento a preparare una nuova legge sul lavoro, secondo le direttive date dal Governo e a darle il nome Jobs Act.
Sapendo quanto sono solerti i nostri parlamentari, per le cose che interessano da vicino i cittadini, tra 10 mesi, probabilmente, staranno ancora discutendo sulle prime tre righe del testo. Ma questo, solo per quanto riguarda la parte riferita al sussidio universale, alla riforma dei Centri per l'Impiego ed allo snellimento delle tipologie di contratti, ovvero la parte migliore del Jobs Act, che, a quanto pare, può aspettare.
Invece, sembra che proprio non possa aspettare la parte peggiore dell'oprea di Renzi, quella relativa alla nuova ondata di deregolamentazione del mercato del lavoro, che renderà ancora più profondo il solco che divide i precari dai tutelati (ammesso che ne esistano ancora). La precarietà è ormai sistema: da insidioso, il Jobs Act rischia di diventare pericoloso.
3 anni: durante questo periodo, infatti, si potranno proporre rinnovi contrattuali senza alcun limite, durante i quali il lavoratore sarà completamente in balia dei diktat aziendali: "ti rinnovo per un mese", "poi per una settimana", "poi per altri 2 giorni", poi ti lasciano a casa, perchè non esiste più alcun obbligo di assunzione a tempo indeterminato, al termine del periodo stabilito.
Un'insicurezza che, probabilmente, non colpirà solo la quantità di rinnovi, ma anche la loro qualità. Quanto tempo trascorrerà, prima che qualcuno compia il fatidico passo "ti rinnovo se accetti una diminuzione di stipendio, se non scioperi, se fai straordinari non pagati, se, insomma, rinunci in toto ai tuoi diritti"?
Abusi del genere sono già esistenti oggi, ma ancora limitati dall'enorme e spesso contraddittoria massa di norme che regolamentano il mondo del lavoro, unico lato buono dell'eccessiva burocratizzazione, lasciataci dalle riforme precedenti. Sparite queste norme, non ci sarà più alcun limite.
Di fronte alle critiche che gli stanno piovendo addosso, il premier replica, sostenendo che, in questo momento, è più importante creare posti di lavoro, che siano precari o no. Le tutele, per adesso (quanto a lungo, però?), possono aspettare. Possibile, davvero, che Renzi non capisca, a cosa si va incontro? Possibile che non si renda conto che senza stabilità lavorativa, non ci sarà nessuna ripresa economica, nessuno sviluppo sociale? Possibile che una Nazione di Precari sia davvero quello che la politica vuole imporci?
Di questo passo, il paradosso dell'aumento di produttività, senza aumento dell'occupazione sarà la regola, non l'eccezione. Sta già accadendo, lo dimostrano i dati: per il 2014, infatti, è previsto, per la prima volta da anni, un aumento dello 0,7% della produttività. Un timido segnale di ripresa, un piccolo passo, da parte delle imprese, non accompagnato, però, da nessuna crescita dell'occupazione, per due motivi:
1. La ripresa è troppo fragile e il futuro ancora troppo incerto, per poter fare piani a lungo termine; basta poco, infatti, per ricadere nelle spire della crisi. Le imprese, per ora, preferiscono andarci con i piedi di piombo.
2. I contratti precari sono troppo vantaggiosi, per non servirsene: il personale a tempo determinato, infatti, è più economico, più docile e più sacrificabile. Perchè, quindi, assumere a tempo indeterminato?
Una visione, questa, che la politica, attualmente incarnata da Renzi, è ben felice di spalleggiare: si guarda all'adesso, ai benefici a breve termine, buoni per i notiziari e per le statistiche da snocciolare in campagna elettorale, ma che crolleranno come castelli di carta al primo soffio di vento, per il semplice motivo che non hanno fondamenta solide. Ma questo non importa loro, perchè il domani, sarà un problema d'altri. Nostro, soprattutto.
Il Jobs Act, quindi, non farà altro che stabilizzare la precarietà, ormai l'unica a tempo indeterminato.
Danilo