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Un ragazzo – Nick Horby (estratto)

Creato il 11 novembre 2012 da Maxscorda @MaxScorda

11 novembre 2012 Lascia un commento

Quanto era fico Will Freeman? Fico così: negli ultimi tre mesi gli era capitato di andare a letto con una donna che non conosceva molto bene (cinque punti); aveva speso più di trecento sterline per un giubbotto (cinque punti); aveva speso più di venti sterline per un taglio di capelli (cinque punti… ma com’era possibile spendere meno di venti sterline per tagliarsi i capelli nel 1993?); aveva più di cinque album di hip-hop (cinque punti); aveva provato l’ecstasy (cinque punti), ma in una discoteca e non semplicemente a casa come puro esercizio sociologico (cinque punti extra); alle prossime elezioni intendeva votare laburista (cinque punti); guadagnava più di quarantamila sterline l’anno (cinque punti) e non doveva sgobbare molto per guadagnarle (cinque punti più altri cinque punti extra che si assegnò per non dover sgobbare affatto per guadagnarle); aveva mangiato in un ristorante che serviva polenta e parmigiano a scaglie (cinque punti); non aveva mai usato un preservativo aromatizzato (cinque punti); aveva venduto i suoi album di Bruce Springsteen (cinque punti); si era fatto crescere il pizzo (cinque punti) e se l’era anche tagliato (cinque punti). Il guaio era che non aveva mai fatto sesso con una donna la cui foto fosse apparsa sulla pagina di costume di un giornale o di una rivista (meno due punti) e che in tutta onestà – l’unica cosa vagamente simile a un principio etico in Will era la sua convinzione che mentire su se stessi nei test fosse del tutto sbagliato – continuava a credere che con una macchina veloce è facile far colpo sulle donne (meno due punti). Ciò nonostante, anche così arrivava a… sessantasei! Stando al test, era un fico maturo. Di prima qualità e pronto da gustare! Fric il Fico d’India. Will non sapeva quanto andassero presi sul serio i test, ma non poteva permettersi di pensarci; essere fico secondo le classifiche di una rivista maschile era per lui quanto di più vicino ci fosse a una sorta di realizzazione; momenti come questi dovevano essere custoditi gelosamente. Fico maturo. Tutto da  gustare: più di così si muore! Chiuse la rivista e la mise su una pila di riviste simili che teneva in bagno. Non le conservava tutte perché ne comperava troppe, ma questa non l’avrebbe buttata via tanto presto.

Will ogni tanto si chiedeva – non troppo spesso, perché le speculazioni sulla storia non erano la cosa cui amava indulgere troppo spesso – in che modo quelli come lui sarebbero sopravvissuti sessant’anni prima. (Con « quelli come lui » intendeva una categoria piuttosto particolare di persone; visto che sessant’anni prima non ci sarebbe potuto essere nessuno come lui perché sessant’anni prima nessun adulto avrebbe potuto avere un padre che aveva fatto i soldi come li aveva fatti il suo. Perciò, quando pensava a quelli come lui, non intendeva quelli proprio come lui, ma solo quelli che non facevano niente tutto il giorno, e che non avevano neanche voglia di fare granché.) Sessant’anni prima, tutte le cose su cui Will faceva affidamento per far passare la giornata semplicemente non esistevano: non c’erano programmi in tv di giorno, non c’erano le videocassette, non c’erano riviste in carta patinata e quindi non c’erano i test e, anche se magari c’erano i negozi di dischi, il genere di musica che ascoltava non era ancora stato inventato.
(Al momento ascoltava i Nirvana e Snoop Doggy Dogg, e nel 1933 non si sarebbe nemmeno potuto trovare qualcosa che gli assomigliasse.) E così sarebbero rimasti solo i libri. I libri!
Quasi certamente si sarebbe dovuto trovare un lavoro, o sarebbe impazzito. Adesso, comunque, era facile. C’era fin troppo da fare.
Non era più necessario avere una vita propria: bastava dare una sbirciatina alla vita di qualcun altro, come veniva vissuta nei giornali e in EastEnders, nei film e nelle canzoni jazz squisitamente tristi o nei rap duri. A vent’anni Will sarebbe stato sorpreso e forse deluso di sapere che a trentasei anni non avrebbe ancora avuto una vita propria, ma a trentasei Will non ne soffriva un granché; c’erano anche meno casini.
Casino! L’appartamento di un suo amico, John, ne era pieno. John e Christine avevano due bambini – il secondo era nato la settimana prima, perciò Will dovette andare a trovarli – e un appartamento che, non poteva fare a meno di pensarlo, era una vergogna. Pezzi di plastica dai colori vivaci sparsi dappertutto sul pavimento, videocassette senza custodia vicino al televisore, il copridivano bianco che sembrava fosse stato usato come un gigantesco pezzo di carta igienica, anche se Will preferiva pensare che le macchie fossero di cioccolata…
Com’era possibile vivere così?
Christine entrò tenendo in braccio il neonato mentre John, in cucina, gli preparava una tazza di tè. « Questa è Imogen » disse. « Oh » disse Will. « Bene. » E poi che cosa doveva dire? Sapeva che c’era qualcos’altro ma per nulla al mondo riusciva a ricordarsi cosa. « è… » No. Niente da fare. Allora concentrò i suoi sforzi comunicativi su Christine. « E tu come stai, Chris?» « Eh, sai. Un po’ svuotata. »
« Troppo lavoro? »
« No. Ho solo avuto una figlia. »
« Ah. Già. » Il discorso tornava sempre a quella fottuta neonata. « Dev’essere piuttosto stancante, immagino. » Aveva aspettato apposta una settimana per non dover parlare di questo genere di cose, ma non era servito a molto. Ne stavano parlando comunque.
John entrò con un vassoio e tre grosse tazze con il tè.
« Barney è andato dalla nonna oggi » disse, senza alcuna ragione evidente, almeno per Will.
« Come sta Barney? » Barney aveva due anni, ecco come stava Barney, e quindi non era di alcun interesse per nessuno tranne che per i suoi genitori, ma, di nuovo, per ragioni che Will non riusciva a spiegarsi, un commento da parte sua sembrava necessario.
« Sta bene, grazie » disse John. « è proprio un diavoletto, sai, e non ha ancora capito bene che farsene di Imogen, ma… è adorabile. »
Will aveva già visto Barney, e sapeva per certo che non era adorabile, perciò decise di lasciar cadere quei discorsi senza né capo né coda.
« E tu come stai, Will? »
« Sto bene, grazie. »
« Ancora nessun desiderio di una famiglia tutta tua? » Preferirei mangiarmi uno dei pannolini sporchi di Barney, pensò. « Non ancora. »
« Ci preoccupi » disse Christine.
« Sto bene così, grazie. »
« Sarà » disse Christine in modo un po’ compiaciuto. Quei due cominciavano a fargli venire il mal di pancia. Era già abbastanza brutto che avessero dei bambini loro; perché mai volevano peggiorare le cose incoraggiando gli amici a fare lo stesso? Da alcuni anni ormai Will era convinto che fosse possibile barcamenarsi senza doversi rendere infelici come John e Christine stavano facendo (ed era sicuro che fossero infelici, anche se il lavaggio del cervello, nel loro caso, era a uno stadio così avanzato da impedirgli di prendere atto della loro stessa infelicità). Dovevi avere soldi, certo – l’unica ragione per fare figli, per come la vedeva Will, era che così potevano prendersi cura di te quando eri vecchio, inutile e al verde – ma lui aveva i soldi, il che significava poter evitare il casino e il copridivano modello carta igienica e la patetica necessità di convincere gli amici a rendersi tanto infelici quanto te.
Una volta John e Christine erano in gamba, davvero. Quando Will stava con Jessica, avevano l’abitudine di andare a ballare tutti e quattro assieme un paio di volte alla settimana. Jessica e Will si lasciarono quando a Jessica venne voglia di scambiare la futilità e la frivolezza per qualcosa di più solido; a Will era mancata, per un po’, ma gli sarebbe mancato di più l’andare a ballare. (La vedeva ancora, ogni tanto, a pranzo, per una pizza. Lei gli faceva vedere le foto dei suoi bambini, gli diceva che lui stava buttando via la sua vita e che non sapeva com’era e lui le diceva quanto era fortunato a non sapere com’era e lei gli diceva che non c’era comunque tagliato e lui le rispondeva che non aveva alcuna intenzione di scoprire se aveva ragione o meno; poi sedevano in silenzio e si guardavano in cagnesco.)
Adesso John e Christine avevano imboccato la via dell’oblio già presa da Jessica e lui non sapeva proprio che farsene di loro. Non voleva conoscere Imogen, o sapere come stava Barney e non voleva sentire quanto era stanca Christine. Per loro ormai non c’era che questo. Non avrebbe più perso tempo con loro. «Ci chiedevamo» disse John «se ti piacerebbe fare da padrino a Imogen. » Erano tutti e due lì seduti con un sorriso pieno di speranza sul volto, quasi lui fosse sul punto di balzare in piedi, scoppiare in lacrime e scaraventarli sul tappeto in un enforico abbraccio. Will rise nervosamente.
«Padrino? Chiesa e via dicendo? Regali di compleanno? Adozione se morite in un incidente aereo? »
« Esatto. »
« State scherzando. »
«Abbiamo sempre pensato che tu abbia delle profondità nascoste » disse John.
« Ah, ma vedete anche voi che non le ho. Sono davvero così superficiale. »
Stavano ancora sorridendo. Non avevano afferrato.
« Sentite: sono commosso che me lo abbiate chiesto. Ma non riesco a pensare a una cosa peggiore. Davvero. è proprio che non è il mio genere di cose. »
Non si trattenne ancora a lungo.
Un paio di settimane più tardi Will conobbe Angie e per la prima volta, a tempo determinato, fece il patrigno. Forse se avesse mandato giù il suo orgoglio e il suo odio per i bambini, per la famiglia, la vita domestica, la monogamia e le notti a letto con le galline, si sarebbe potuto risparmiare un sacco di guai.


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