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UN RAID DRITTO AL CUORE (III parte)

Creato il 26 febbraio 2011 da Samilla

UN RAID DRITTO AL CUORE (III parte)

Lascio la mia macchina in un parcheggio poco distante l’azienda in questione e raggiungo l’entrata a piedi. Scorgo subito un gruppetto di ragazzi che stanno posizionando delle gabbie per terra. Un vecchio camioncino ha le portiere aperte e al suo interno vedo altre persone che stanno prendendo delle torce. Affretto il passo e mi infilo il passamontagna. All’improvviso mi blocco. Sono ancora in tempo per tornare indietro. Ma non lo faccio. Proseguo a testa alta, sicura di voler vedere in faccia la realtà.

“ Uno nuovo. Dai sbrigati! Prendi questa torcia e seguici”.

Un ragazzo mi passa il necessario per farmi luce all’interno del capannone. Nessuno mi chiede il mio nome. L’incognito è d’obbligo.

“Originale il tuo passamontagna. La prossima volta comprane uno di lana. Dammi retta, con quello sembri Batman”.

E’ una ragazza a parlare e con le sue parole fa voltare il resto del gruppo che si concede una risata collettiva. Duccio mi osserva e per un attimo ho paura che mi riconosca, ma si volta e scavalca il cancello con un salto atletico. Due ragazzi rompono i vetri con un oggetto di ferro e ci fanno cenno di entrare. Nel buio cammino lentamente incredula per la prontezza con cui gli altri riconoscono gli uffici e si catapultano all’interno per rompere con calci e bastonate dei computer mentre una ragazza scrive slogan animalisti sul muro con una bomboletta di vernice rossa. Non riesco a fare come loro. Assesto solo qualche timido colpo alle tastiere, ma non riesco a fare oltre.

“Forza dirigiamoci nel reparto scientifico. Venite a rompere i vetri per passare le gabbie”.

E’ Duccio a parlare. Sono in preda al panico. Seguo il gruppo per un corridoio lungo e stretto. Corrono per paura di essere scoperti. Il tempo in questi raid è fondamentale. La ragazza spinge una porta e fa luce all’interno della stanza. Quello che vedo non ha dell’umano. Mi appoggio allo stipite e lascio che gli altri si avvicinino concitatamente agli animali. Sento la testa che gira. Le gambe che tremano e un sudore freddo che scende dalla mia fronte, bagnando il passamontagna. Un centinaio di conigli sono chiusi in loculi bui, senza cibo con solo un abbeveratoio. Ma questo è niente. Hanno aghi infilati nelle zampe e addirittura negli occhi. Il sangue si è cicatrizzato intorno alle ferite. Alcuni hanno anche una gamba amputata. Sono ancora ferma. Incapace di agire. Guardo questi ragazzi che aprono le gabbie, staccano gli aghi e salvano solo pochi esemplari. Gli altri dovranno rimanere lì. Non è possibile liberarli tutti. Allora penso alla loro tristezza di aver visto in faccia la libertà per perderla subito. E penso a noi stupidi umani che compriamo questi prodotti di bellezza, queste creme che uccidono una schiera infinita di innocenti.

“ Veloci passate gli animali dalla finestra e spengete le torce. Altrimenti possono vedere le luci da fuori”.

Mi volto, e con la poca forza che mi è rimasta, raggiungo gli uffici. Distruggo con una foga sovraumana gli ultimi schermi dei computer rimasti integri. Come possono queste persone svegliarsi la mattina e venire a lavoro? Come possono vivere con un tale fardello sulla coscienza? Striscio nel corridoio, la testa mi gira, ma ritorno nella stanza delle torture.

“Dove eri finita dannazione? Prendi questo povero coniglio e passa dalla finestra. Veloce, dobbiamo andarcene!”

La ragazza urla disperata e mi spinge fuori. Stringo quell’esserino indifeso e quando lo guardo il mio cuore manca un colpo. Ha una zampa amputata. Sento l’erba sotto le mie scarpe. Siamo finalmente fuori. Svengo. (Continua)

 

SAMANTA



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