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Un ricordo di Christopher Lee

Creato il 11 giugno 2015 da Af68 @AntonioFalcone1
Chistopher Lee

Chistopher Lee

Il grande attore inglese Christopher Lee (Carandini Lee, Christopher Frank), fascinosa icona del  cinema horror britannico, è morto domenica scorsa, 7 giugno, a Londra, sua città natale (1922). La notizia, per volontà della moglie, Birgit Kroencke, è stata diffusa solo oggi, giovedì 11 giugno.
Presenza scenica di quelle che non si dimenticano, fisico segaligno ed imponente, volto affilato, sguardo inquietante e magnetico, voce profonda, cui si univa uno stile recitativo piuttosto sobrio, dalla mimica austera ma efficace, Lee era figlio di un colonnello e di una discendente della nobile famiglia italiana Carandini di Sarzano.
Dopo gli studi presso il Wellington College, nel corso della Seconda Guerra Mondiale Lee si arruolò nella Royal Air Force e lavorò per l’Intelligence Service. Debuttò al cinema nel 1948, quando ottenne una piccola parte ne Il mistero degli specchi (Corridor of Mirrors, Terence Young).

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Sembrava avviato ad una carriera di valido caratterista, in particolar modo all’interno di film avventurosi, ma nove anni più tardi l’incontro con il regista Terence Fisher fu fondamentale nel darvi nuovo corso: Lee interpretò infatti la Creatura nell’horror The Curse of Frankenstein (La maschera di Frankenstein), mentre Peter Cushing rivestiva i panni del suo “creatore”, il barone Victor, moderno Prometeo, riprendendo il titolo originale del romanzo di Mary Shelley (1818), base di un adattamento che traeva spunto soprattutto dal primo film (Frankenstein, 1931, James Whale) tratto dalla suddetta opera letteraria.
I due attori inglesi, insieme a Fisher e alla sua fidata squadra di collaboratori (lo sceneggiatore Jimmy Sangster, lo scenografo Bernard Robinson e i truccatori Phil Leakey e Roy Ashton) contribuirono al rilancio a livello internazionale della casa di produzione inglese Hammer Film Productions, offrendo una valida rilettura dei classici Universal degli anni’30.

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Venivano dunque sottolineati i motivi gotici delle realizzazioni originarie, letterarie e filmiche, con uno stile certo personale (realismo nelle riprese, la particolare gradazione accesa del colore, scenografie curate, interpreti carismatici, il tema dell’istinto belluino insito nell’animo umano, contrapposto alla rigidità delle convenzioni sociali). Memorabile la sinistra eleganza, meno lugubre rispetto a quella offerta da Bela Lugosi nell’antecedente del 1931 (Dracula, Tod Browning), ma estremamente terrificante nella sua esibita sensualità (il famoso e simbolico morso, rappresentato in primo piano), propria dell’interpretazione proposta da Lee de il Conte Dracula, a partire dal film del ’58 (Dracula/The Horror of Dracula; Dracula il vampiro, 1958), sempre per la regia di Fisher e in decine di ulteriori realizzazioni.
Per quanto famosa, la suddetta interpretazione non relegò comunque l’attore inglese in una prigionia monotematica, come testimoniato dal numero (circa 300) di pellicole cui prese parte.

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Si possono certo ricordare altri ruoli horror, come il sacerdote Kharis ne La mummia (The Mummy, 1959, sempre diretto da Fisher, ancora un remake di un classico Universal, l’omonimo film, 1932, di Karl Freund) o la collaborazione col nostro Mario Bava (Ercole al centro della Terra, 1961; La frusta e il corpo, 1963), ma non è da sottovalutare la diversificazione poliedrica offerta dal raffinato attore. Ecco quindi, pescando fra i vari titoli, il diabolico Dr.Fu Manchu ne The Face of Fu Manchu (1965, Fu Manchu A.S. 3 ‒ Operazione Tigre, Don Sharp), interpretato in altri tre film (il personaggio ha derivazione letteraria, opera del romanziere inglese Sax Rohmer); il fratello di Sherlock Holmes, Mycroft (The Private Life Of Sherlock Holmes, 1970, Billy Wilder); l’ironia soffusa nel dare volto al consueto villain, Scaramanga, pronto a fronteggiare l’agente segreto 007 James Bond (Roger Moore; James Bond: The Man With The Golden Gun, 1974, Guy Hamilton).

(starbustmagazine.com)

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Rimarchevole, poi, la capacità di saper prendere in giro anche se stesso (il bizzarro Dracula père et fils,1976, Dracula padre e figlio, Édouard Molinaro), passando per il notevole Rochefort de I tre moschettieri (The Three Musketeers, Richard Lester, 1973) e relativi seguiti (Milady, 1974; The Return of the Musketeers,1989, sempre Lester alla regia).
Qualche film, a mio avviso, da dimenticare (ad esempio Jackpot, Mario Orfini, 1992), per quanto la classe profusa fosse, al solito, impagabile, ed infine una delle sue pregevoli ultime interpretazioni, lo stregone Saruman il Bianco nelle trilogie de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit realizzate da Peter Jackson, ulteriore testimonianza di un carismatico talento, instancabilmente messo al servizio, con leggiadro fair play, del mondo della Settima Arte.
Lascerà l’indomito ricordo di un attore il cui sguardo, inquietante come scritto ad inizio articolo, ma capace anche di esibire un beffardo disincanto, ha saputo esprimere la magia propria del cinema, ammantandola di un’aura leggendaria.


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