Jacques Rivette (Wikipedia)
E’ morto lo scorso venerdì, 29 gennaio, a Parigi, il regista e critico cinematografico francese Jacques Rivette (Rouen, 1928), fra gli ultimi esponenti della Nouvelle Vague e sicuramente, fra i cineasti che aderirono al suddetto movimento, quello rimasto più fedele all’originaria impronta sperimentale, volta a far sparire, in nome della “politica degli autori” e dei diritti del regista, padrone del linguaggio cinematografico e quindi autore del film, l’accademismo ereditato dagli anni ’30, rifacendosi a nuovi modelli di riferimento (tra i quali Roberto Rossellini).
La “nuova ondata” del cinema francese prese piede in particolare tra la primavera del ’59 e l’autunno del ’63: la macchina da presa tornava nelle strade, si riprendeva contatto con la realtà, abbandonando l’artificio degli studi cinematografici, si cercavano attori nuovi, che potessero dare una patina di autenticità ai personaggi interpretati. La sceneggiatura non veniva poi ritenuta vincolante, almeno relativamente ad una rigida logicità spazio-temporale, e si dava preferenza ad una fotografia vicina al documentario, insieme ad una illuminazione il più possibile simile alla luce naturale.
Nulla a che vedere, comunque, con il successivo ed affascinante, pur nella sua intricata frammentarietà, Out one: noli me tangere, 1971, dall’originaria durata di dodici ore e quaranta (venne poi ridotto a 255 minuti e riedito nel 1974 col titolo Out one: spectre). Le tematiche del teatro, la possibile confluenza fra diversi tipi di realtà, l’orditura misteriosa di un clima cospirativo sono dunque tematiche presenti un po’ in tutta la produzione di Rivette (L’amour par terre, 1984, L’amore in pezzi; La bande des quatre, 1989, Una recita a quattro; Va savoir, 2001, Chi lo sa?), in equilibrata alternanza fra sceneggiature spesso in divenire, idonee a mutare registro in corso d’opera per assecondare anche le varie interpretazioni attoriali e lavori invece più levigati e costruiti, meno ridondanti nell’esposizione, come nella pellicola dedicata a Giovanna D’arco (Jeanne la Pucelle, 1993, diviso in due parti, Les batailles e Les prisons). Come al solito nel ricordare la figura di Rivette mi sono limitato, per ragioni di brevità espositiva in primo luogo, ai titoli più rappresentativi, almeno a parer mio, della sua filmografia, ricordando in chiusura il suo ultimo lavoro, datato 2009, Questioni di punti di vista (36 vues du Pic Saint-loup), definitivo ritratto di un autore capace di rendere il cinema un esemplare e personale mezzo di sperimentazione, idoneo ad illustrare il quotidiano all’interno di un rapporto speculare fra arte e vita, assecondando un vicendevole “scambio di coppia” tra finzione e realtà.