4 Giugno. Ricorre l’anniversario della scomparsa di due artisti immensi: Nino Manfredi e Massimo Troisi, che ci hanno lasciato nel 2004 e nel 1994, lo stesso giorno. Ma non è il momento delle lacrime o della commozione, ma di ricordare Nino e Massimo per le emozioni che ci hanno donato.
Manfredi ha rappresentato, insieme a Sordi, Gassman, Tognazzi, la commedia drammatica, amara, o estremamente esilarante. Pensiamo a “Per grazia ricevuta” (1971), il capolavoro da lui diretto e interpretato: un incontro tra comicità e dramma, ma entrambi gli aspetti resi con garbo e leggerezza, perché quel Cinema italiano sapeva farlo, e gli interpreti come Nino, sapevano farlo. E’ stato per Luigi Magni il Pasquino de “Nell’Anno del Signore” (1969) e il Monsignor Colombo da Priverno ne “In Nome del Papa Re”, dunque l’anima popolare, ribelle e nascosta dietro un semplice calzolaio, e la figura del potere temporale della Chiesa nella Roma papalina, giudice della famigerata Sacra Consulta, che comprende come quell’epoca stesse volgendo al termine; è stato diretto da Ettore Scola in “C’eravamo tanto amati” (1974), un ritratto dell’Italia del dopoguerra e dei trent’anni successivi, ma attuale più che mai; è stato Rugantino al teatro per Garinei e Giovannini, ha partecipato alla commedia di fine anni ’50, è stato protagonista degli anni ’60 per i film, ad esempio, di Dino Risi, tra cui ricordiamo “Straziami, ma di baci saziami” (1968), irresistibile film dai tempi comici eccezionali; negli anni ’70 ha lavorato con De Sica (Lo chiameremo Andrea, 1972), Bevilacqua (Attenti al Buffone, 1975), Montaldo (Il Giocattolo, 1979), ci ha regalato due personaggi indimenticabili come l’emigrato in Svizzera di “Pane e cioccolata” (1973) e il rozzo popolano di “Brutti, Sporchi e Cattivi” (1976). Ma non solo. Nino Manfredi è di più, molto di più. E’ un attore che ha saputo rendere attraverso ruoli, i più diversi tra loro, la contemporaneità del nostro Paese. Nella semplicità delle sue interviste, anche negli ultimi anni della sua vita, possiamo ritrovare l’eleganza e la semplicità di Nino che è un esempio per tutti noi.
Vittorio De Sica, Mariangela Melato e Nino Manfredi sul set di “Lo chiameremo Andrea” (1972)
Massimo Troisi rappresenta la spensieratezza e la malinconia allo stesso tempo. Due aspetti che, forse, egli stesso possedeva, e che io ritrovo nei suoi film, soprattutto. Basti pensare al suo esordio, “Ricomincio da tre”, nel ruolo di Gaetano (anche regista, 1981) e “Il postino” di Michael Radford (1994), nel ruolo di Mario, ultima sua pellicola. Gaetano è un giovane molto timido alla ricerca di qualcosa, ma quella voglia di cambiare vita, che lo porta a lasciare la sua Napoli e a vivere una serie di avventure fino a Firenze, si scontra sempre con la sua natura particolare, che sente il peso della responsabilità e dell’affrontare le esperienze ma ha nell’essere, proprio di tutti i napoletani, quello spirito allo stesso tempo gioviale e scanzonato; e in fondo, nel 1981, era una situazione molto simile a quella di tanti giovani in cerca di un futuro. Mario, invece, è un uomo che vince la sua timidezza grazie alla poesia dopo aver conosciuto Pablo Neruda e aver stretto amicizia con lui, nelle occasioni in cui gli consegna la posta. Tra ideali di un mondo migliore, dopo aver trovato l’amore di Beatrice, Mario è una persona nuova, consapevole delle proprie possibilità, con la dolcezza e la magia dei versi poetici. Anche qui però, un senso di malinconia prende il racconto del film, amaro e allo stesso tempo carico di speranza, nel finale.
“Ricomincio da tre”
Questo era Massimo Troisi, ma non solo. Pensate a “Non ci resta che piangere”, che ha diretto e interpretato insieme a Roberto Benigni nel 1984. Ancora oggi, una delle coppie comiche più riuscite nella storia del grande schermo: sbalzati nel Rinascimento, il bidello Mario (Troisi) e l’insegnante Saverio (Benigni) si trovano davanti alla storia, in una sequenza di situazioni oltre la loro immaginazione. Un film che ancora oggi Roberto Benigni ricorda con affetto e senza dubbio i due attori, sullo schermo insieme, ci hanno regalato un’opera unica. Massimo è stato anche diretto da Ettore Scola in “Splendor” (1989), “Che ora è?” (1989) e “Il viaggio di Capitan Fracassa” (1990), si è raccontato ancora in “Scusate il ritardo” (1983) e “Pensavo fosse amore e invece era un calesse” (1991), ha iniziato in teatro e ha partecipato in numerose trasmissioni televisive, nelle quali la sua spontaneità, rivedendole oggi, emerge pienamente. Prima che in quel 1994, poche ore dopo la conclusione delle riprese de “Il Postino”, ci lasciasse, quando ancora aveva molto da dare. Così come Manfredi, certo più avanti negli anni nel 2004 ma ancora in piena attività, che ci avrebbe regalato molto.
Philippe Noiret e Massimo Troisi da “Il Postino”
Il ricordo di Nino Manfredi e Massimo Troisi, a molti anni di distanza, è presente. E tale rimarrà, perché il nostro amore nei loro confronti è infinito. Come l’Universo dell’Arte.
Giuseppe Causarano